Giorni intensi per l’efficienza energetica visto che la Commissione Industria del Senato ha ripreso in mano il meccanismo dei Certificati bianchi. Diverse le considerazioni che sono arrivate tra cui non sono mancate quelle della Fire. Ne abbiamo parlato con Dario Di Santo managing director dell’associazione.

La Fire ha inviato come proposte di modifica dello schema di decreto sui certificati bianchi dichiarate, già nelle premesse, che manca qualche elemento forte di discontinuità col passato.

Quali sono gli elementi centrali di questa discontinuità che vorreste?

Quando è stato emanato il D.M. 11 gennaio 2017 sono state introdotte diverse misure restrittive per l’offerta di certificati bianchi: l’eliminazione delle schede standard e del coefficiente moltiplicativo tau, una definizione di addizionalità molto restrittiva, la richiesta di misure più puntuali per la valutazione dei consumi energetici e delle variabili che li influenzano. Lo schema di decreto introduce misure positive per rilanciare l’offerta e dunque va nella giusta direzione. A mio avviso si potrebbero aggiungere delle novità forti, equivalenti in positivo a quelle del 2017, oltre all’idea delle aste. Sarebbe ad esempio utile reintrodurre le schede standard senza misura. Si darebbe un segnale deciso agli operatori e alle imprese, che potrebbero essere invogliati a dare nuovamente fiducia al meccanismo dei certificati bianchi, e si darebbe più elasticità all’offerta, un tema rilevante per il funzionamento del mercato. Il rischio delle grandi truffe, con l’introduzione nel 2017 del titolare unico, risulta ormai molto ridotto e facilmente verificabile.

Il sistema industriale ha risposto bene in passato al meccanismo dei certificati bianchi poi qualcosa è andato deteriorandosi, cosa si dovrebbe fare per superare gli ostacoli che si sono palesati?

Va detto che i risultati degli anni d’oro dello schema erano ampi anche per la possibilità di presentare progetti già realizzati, per la cumulabilità con altri schemi e per i requisiti sulla misura dei consumi meno stringenti. Inoltre, il coefficiente tau moltiplicava sostanzialmente per tre i risparmi annuali, generando un grande volume di Tee.

Nonostante questo, il potenziale comunicato dal Gse relativamente ai risparmi annualmente generabili dai progetti presentati in questi ultimi anni con le regole introdotte nel 2017 è in linea con quanto si era ottenuto nel 2015 e 2016, nonostante allora ci fossero le schede standard da sfruttare. Ad oggi questo potenziale è rimasto teorico, non sappiamo se per ritardi nella realizzazione dei progetti o della misura, o, speriamo di no, per la rinuncia a realizzarli. Se tale potenziale si concretizzerà, comunque, è una buona notizia.

Un problema serio per lo schema e il mercato dei Tee è stato lo scostamento crescente fra gli obblighi e i certificati bianchi emessi, sulla cui entità hanno indubbiamente giocato un ruolo determinante le grandi truffe emerse nel 2017 e il successivo giro di vite sui controlli messo successivamente in atto dal Gse su alcune tipologie di schede standard più soggette a rischio. Ciò ha determinato una perdita di certificati annui che stimiamo nell’ordine di 1,3-1,5 milioni di Tee. Se fossero rimasti sul mercato questo sarebbe stato comunque corto, ma certo staremmo parlando di tutt’altra situazione.

Affinché lo schema si riprenda, dunque, è necessario a mio avviso agire su tre direttrici: favorire l’offerta (lo schema di decreto già lo fa, e Fire propone qualche possibile elemento di rafforzamento nel documento inviato alla X Commissione Senato [https://blog.fire-italia.org/certificati-bianchi-ecco-le-proposte-fire-di-modifica-allo-schema-di-decreto/]), rafforzare gli strumenti di supporto alla presentazione delle domande (aspetto ben coperto dallo schema di decreto), ricostruire la fiducia degli operatori (aspetto su cui i dati comunicati dal Gse nel rapporto di marzo 2021 – con una percentuale di approvazione delle proposte superiore al 93% – mostrano che il cambio di approccio introdotto negli ultimi due anni dal Gestore ha sortito risultati decisamente incoraggianti).

L’abbassamento delle quote dei meccanismi di efficienza energetica vi sembra possa impattare sull’efficacia del meccanismo in sé per il mercato?

Semmai è il contrario. Uno schema di mercato necessita di un sostanziale equilibrio fra domanda e offerta per funzionare. Equilibrio che può venire meno per brevi periodi ma che deve poi instaurarsi nuovamente. Non a caso l’emission trading scheme (Ets) nel tempo è stato dotato di una serie di meccanismi di compensazione e regolazione (anche se lì il problema era sostanzialmente opposto, un eccesso di offerta).

Vista la produzione attuale di certificati, gli obblighi residui (ossia legati agli obiettivi non soddisfatti negli anni precedenti) e il potenziale di cui si è a conoscenza la riduzione dei target è fondamentale e i valori fissati nello schema di decreto ritengo siano ragionevoli.

Certo, bisogna fare in modo lavorare per poterli accrescere in ragione degli obiettivi al 2030 da rivedere dopo l’incremento al 55% del target sulle emissioni climalteranti. Se le misure di stimolo funzioneranno, e non vedo perché non dovrebbero se ben attuate, ritengo che gli obblighi al 2023 e 2024 fissati dallo schema di decreto possano essere rivisti al rialzo.

Occorre inoltre lavorare per ritrovare un equilibrio virtuoso fra domanda e offerta e per eliminare i titoli virtuali, che in un contesto di obblighi ben dimensionati introduce solo una complicazione.

Come vedete lo sviluppo del sistema delle aste?

Positivamente, purché non venga pensato come un sistema parallelo e alternativo al mercato normale. Ritengo che nelle aste si possano accomodare due tipologie di interventi. Da un lato quelli complessi e costosi, dunque non incentivabili a sufficienza con i prezzi di mercato (e.g. processi industriali, interventi sulle reti, riqualificazione integrale edifici, etc.). Dall’altro quelli standardizzabili e con tempo di ritorno breve, che potrebbero essere veicolati attraverso un valore dell’incentivo più basso. In questo modo le aste permetterebbero di allargare l’ambito di azione del meccanismo, dispiegando nel contempo il loro potenziale di costo-efficacia (che richiede però una caratterizzazione precisa degli interventi e un dimensionamento corretto dei volumi).

Occorre però ragionare bene sulla gestione delle aste per evitare problemi di conflitto con il mercato e gli obblighi. Penso che con un’opportuna consultazione con i portatori di interesse si possa evitare questo rischio e si riesca a mettere a punto uno strumento utile, che richiederà presumibilmente un po’ di tempo per andare a regime, producendo i suoi effetti soprattutto nel medio periodo.

Nel complesso stiamo parlando di un meccanismo che il mercato da tempo chiedeva fosse preso in mano, le sembra che stiamo andando nella giusta direzione?

Ritengo di sì. Del resto è fondamentale riuscirsi. Lo schema si rivolge in primo luogo all’industria, settore che dovrà affrontare sfide rilevanti in ottica di decarbonizzazione. Non solo l’Ets metterà sotto pressione le imprese, ma queste dovranno innovare in ottica sostenibile prodotti e servizi, processi e filiere. E su questi due ultimi aspetti i certificati bianchi penso possano offrire un supporto importante. Il beneficio non saranno solo i risparmi energetici con cui soddisfare l’articolo 7 della direttiva sull’efficienza energetica, ma un’industria competitiva, occupazione e meno esternalità negative per i territori e le persone.

Lo schema di decreto, se ben gestito e possibilmente affinato, potrà innescare un percorso positivo nei prossimi anni. Il decreto è però il solo primo passo: servirà l’apporto di tutti i soggetti coinvolti, dal Gse all’Arera, dai distributori agli operatori (che non dovranno limitarsi a presentare progetti, ma farlo bene evitando furberie, perché i matrimoni si costruiscono in due).


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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.