Oltre trecento persone hanno affollato il 29 gennaio scorso la sala conferenze del Museo Nazionale della Scienza Leonardo da Vinci di Milano, a due passi da S. Ambrogio. Il convegno dal titolo “Data Center: crocevia tra transizione digitale e transizione energetica” è organizzato dalla società di consulenza Key To Energy, in partnership con lo studio legale Parola Associati e lo studio fiscale &Partners, con l’obiettivo di far luce sul quadro complesso dei data center e gli scenari per il sistema energetico.
Non c’è giorno che non si leggano notizie sugli sviluppi esponenziali dei data center, il volume del cloud, l’impatto dirompente su approvvigionamenti e consumi. Ci si chiede se non ci sia uno scollamento tra l’espansione del cloud computing, che la transizione digitale implica, e la sostenibilità ambientale, prevista dalla transizione energetica. Sembra un corto circuito: l’assorbimento energetico dell’uno fa a pugni con la necessità di efficientamento dell’altro. Siamo ad un bivio, su due strade parallele o a un incrocio che nasconde anche opportunità?
Alla luce della disciplina ESG, per cui le grosse aziende sono tenute a rendicontare l’impatto ambientale delle proprie attività, cosa si può fare per contenere l’impronta ecologica causata da una crescente necessità di calcolo? Sono queste le domande cui cerca di rispondere il convegno, con l’aiuto di esperti, docenti universitari, player di mercato, figure istituzionali.
Prima criticità, i consumi. La crescita dei consumi dei data center sarà esponenziale. Questi data center rappresentano una domanda energivora additiva. Siamo davanti a un fenomeno che presenta un grosso buffer di nuova domanda e nuove installazioni. A prima vista si direbbe un enorme problema: per decarbonizzare la domanda di energia, ci troviamo ad affrontare grosse fette di domanda aggiuntiva che chiedono una fornitura verde. Subito.
Ma allora siamo destinati a un futuro distopico? Forse no, se si mette in campo una visione strategica. C’è un’insorgenza di domanda elettrica green da parte dei data center. Questo dato dovrebbe informare le politiche pubbliche a rispondere con approcci flessibili: dalla richiesta di forniture verdi, non può che derivare un maggior volume dei vettori energetici low carbon. In altre parole, l’aspetto energivoro di questi poli digitali potrebbe trasformarsi in acceleratore della transizione energetica, facilitando anche pratiche di autoconsumo e teleriscaldamento localizzato.
Il punto centrale è che il concetto di misura dell’efficienza deve tendere verso l’unità. Quando entrato a regime, l’efficientamento potrà essere reinvestito. Se l’incremento nell’uso dell’IA moltiplica i consumi dei data center, si rende ancora più necessario rispondere alle richieste di forniture green. E se anche ci fossero data center a risparmio, resta l’espansione della capacità di calcolo. Lo scenario si preannuncia con un incremento sostanziale dei consumi, qualunque sia la tecnologia.
“Da un lato i data center potrebbero diventare un problema per la sostenibilità energetica e rallentare la decarbonizzazione del settore. Dall’altro, con politiche mirate, possono invece trasformarsi in un’opportunità per la decarbonizzazione, se ci fanno aumentare il menù di low carbon e l’efficienza energetica”, commenta Guido Bordoni, ex capo Dipartimento Energia del governo.
L’anello mancante
Più che uno, sono diversi gli anelli che mancano all’appello per collegare la catena. A fronte di questa crescita, è necessario tenere presente le sfide: sostenibilità, efficienza dei costi, approvvigionamento, permitting.
Ma l’anello principale resta la mancanza di un quadro regolatorio certo. Ad oggi, il quadro normativo italiano sembra configurarsi come un patchwork, ma anche quello europeo non è dissimile. L’unico atto UE che si occupa in modo specifico dei data center è il Regolamento Delegato 2024/1364 che tuttavia si focalizza solo sull’efficienza e prevede una serie di obblighi di report. La sua funzione è unicamente quella di una mappatura e non prevede sanzioni.
Tornando in Italia, il quadro normativo fa affidamento su una pluralità di norme, pochissime delle quali citano i data center: Testo Unico dell’ambiente, Testo Unico dell’edilizia, strumenti urbanistici, interpretazioni ministeriali. E’ il DDL Basso quello che in modo più organico sembra riconoscere il ruolo dei data center per lo sviluppo tecnologico ed economico italiano.
I criteri della legge prevedono che il governo possa emanare decreti allo scopo di disciplinare l’organizzazione, il potenziamento e lo sviluppo tecnologico dei data center. Da un lato si riconosce la necessità di stabilire un procedimento autorizzativo organico; dall’altro la necessità di creare un codice Ateco specifico.
“Il codice Ateco può sembrare un dato sterile, ma non è così. Pensiamo a quello che è successo ultimamente con la disciplina dell’Energy Release. Un’iniziativa che, da un lato, mira a calmierare i prezzi agli energivori, e che dall’altro facilita il ruolo attivo di chi consuma molta energia elettrica: la creazione di nuova capacità da fonti rinnovabili. Ecco, l’assenza di un codice Ateco ha fatto sì che ci fosse una mancata inclusione dei data center in questa iniziativa legislativa”, spiega nella sua keynote l’avvocato Lorenzo Parola, managing partner di Parola Associati.
La dimensione costituzionale dei diritti fondamentali
Colpiscono le considerazioni giuridiche di ampio respiro sollevate da Oreste Pollicino, professore di diritto costituzionale, Università Bocconi: “Non è soltanto un problema di protezione dati, ma è un problema in cui l’intelligenza artificiale diventa terreno di scontro di modelli regolatori di geopolitica, in cui l’Europa cerca di far emergere i propri confini”.
Quanto rigidi devono essere questi confini per tutelare il patrimonio costituzionale dell’UE? Come membro dell’Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali, Pollicino considera centrale la dimensione costituzionale di questi diritti e ritiene sia necessario un trade-off: se c’è un terreno di scontro tra diversi modelli regolatori e culturali, l’Europa non può considerarsi soltanto come polo normativo e non può escludersi dai giochi.
“A me pare che il problema legato alla nuova prospettiva di regolazione si declini cercando di trovare dei punti di convergenza tra intelligenza artificiale e sostenibilità attraverso un nuovo modello di compliance legata alla tutela dei diritti fondamentali”, continua il professor Pollicino.
Non si tratta di un aspetto meramente etico, poiché l’impatto sui diritti fondamentali diventerà a tutti gli effetti un elemento di compliance nel quadro del Fundamental Rights Impact Assessment (FRIA).
“Cosa implica questo? Implica un periodo di preparazione per i data center, che si troveranno tra due fuochi. Dovranno in qualche modo essere parte nel gioco della normativa sull’IA. Quella normativa che identifica il settore data center come ad alto rischio. Da agosto 2026, il Fundamental Rights Impact Assessment non sarà solo un gioco di parole”, conclude Oreste Pollicino.
Strategie di approvvigionamento per il sistema elettrico italiano
Secondo Virginia Canazza, partner di Key to Energy, l’analisi del possibile impatto sul mercato mette in luce una crescita esponenziale, ben superiore alle stime iniziali. Dal punto di vista strettamente energetico i temi che richiedono un esame attento sono due: connessione alla rete e approvvigionamento.
“Abbiamo condotto un’analisi di quelli che possono essere gli impatti tra lo sviluppo dei data center e il settore elettrico nel contesto della transizione energetica. La prima considerazione è che, ad oggi, tutti gli scenari di policy rispetto a cui si tarano le decisioni energetiche sono prudenziali rispetto al trend di sviluppo dei consumi dei data center. Quindi è necessario in questa fase valutare attentamente possibili impatti e verificare la tenuta delle decisioni già prese”, spiega Virginia Canazza ai microfoni di Canale Energia.
Negli ultimi 5 anni l’Italia ha visto crescere i consumi del comparto data center a tassi annui tra +8% e +19%. Guardando agli sviluppi futuri, bisognerà che i data center siano localizzati in prossimità della rete. Per identificare la localizzazione ottimale saranno necessarie valutazioni puntuali. Per assicurare costi competitivi, qualità e sostenibilità negli approvvigionamenti, si dovrà guardare a una gamma di strumenti già disposizione: da quelli commerciali come i PPAs (Power Purchase Agreements), con relative garanzie di origine, a quelli patrimoniali, come lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili.
Da questo punto di vista, un coordinamento fra sviluppo dei data center e sviluppo del sistema elettrico è auspicabile, in quanto potrebbe attivare sinergie capaci di massimizzare l’integrazione rinnovabile e minimizzare la necessità di sviluppi infrastrutturali.
Una nota di interesse è il commento di Guido Bordoni sul guardare alle esperienze d’oltreoceano per prendere le distanze dai casi che non hanno funzionato. Casi che hanno indotto a capire come il rischio di greenwashing sia sempre in agguato: “Se guardiamo all’esperienza USA nel decennio di prima generazione, si notano anche casi di insuccesso. Alcuni grossi poli digitali che chiedevano forniture green si sono affidati a strumenti come i crediti di carbonio, che consentono di scambiare quote di energia green anche fuori la propria giurisdizione. Ma non è stata un’esperienza di successo. Ci ha spinti a considerare che le forniture verdi devono trovare risposta all’interno della nostra giurisdizione energetica. Bisogna fare in modo che queste forniture siano effettivamente green per i data center. Il discorso dei carbon credits può condurre a fenomeni di greenwashing”. Nel video le sue considerazioni.
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