Gli obiettivi fissati dal pacchetto europeo sull’economia circolare al 2035, non sono al momento raggiungibili. In Italia servono almeno 30 impianti per il trattamento dei rifiuti organici e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili.
La ricerca Rifiuti urbani, fabbisogni impiantistici attuali e al 2035, realizzata da Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, giunta alla terza edizione, lo spiega chiaramente.
Presentata durante la fiera Ecomondo di Rimini, sottolinea come gli attuali impianti di trattamento dei rifiuti urbani sono numericamente insufficienti e mal dislocati sul territorio. Costringendo così il nostro Paese a continui viaggi dei rifiuti tra le regioni. Ricorrendo inoltre in misura massiccia allo smaltimento in discarica.
Senza una rapida sterzata, sarà impossibile raggiungere gli obiettivi comunitari che prevedono sul totale dei rifiuti raccolti, entro 15 anni, il raggiungimento del 65% di riciclaggio effettivo, mentre l’utilizzo della discarica per una quota inferiore al 10%.
Le necessità cogenti nei territori
Se si vogliono centrare gli obiettivi europei e annullare l’export di rifiuti tra le aree del Paese, il fabbisogno impiantistico è pari a 5,9 milioni di tonnellate.
Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia, spiega che: “Senza impianti di digestione anaerobica e termovalorizzatori non è possibile chiudere il ciclo dei rifiuti in un’ottica di economia circolare”.
Su base annua e nello specifico, il Nord risulterà autosufficiente per l’organico e in debito di 300mila tonnellate per la termovalorizzazione. Il Centro avrà bisogno di termovalorizzare ulteriori 1,2 milioni di tonnellate e di trattarne altrettante di organico. Il Sud avrà un fabbisogno di recupero energetico di 600mila tonnellate e di 1,4 milioni di tonnellate per l’organico.
La Sicilia dovrebbe incenerire 500mila tonnellate e 600mila tonnellate per l’organico. Infine la Sardegna sarebbe invece autosufficiente per l’organico ma presenterebbe un deficit di 90mila tonnellate per la termovalorizzazione.
Continua l’eccessivo smaltimento in discarica
Le discariche sono il sistema di trattamento dei rifiuti maggiormente impattante sull’ambiente, soprattutto per le emissioni di gas serra.
Anche gli ultimi dati, relativi al 2020, mostrano che smaltiamo in discarica 5,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. Di questi, 520mila vengono trattati in regioni diverse da quelle di produzione.
La vita residua delle discariche attive è in esaurimento: per il Nord ed il Centro si prospettano ancora 4 anni. Nel Sud peninsulare e in Sicilia 2 anni. Alla Sardegna resta un anno.
Al momento l’Italia avvia a discarica una media del 20% dei rifiuti urbani, mentre l’Unione Europea ha stabilito di scendere al di sotto del 10% nei prossimi 13 anni.
“A questo ritmo di conferimento saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare i rifiuti in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione” Continua Brandolini.
Entro pochi anni in mancanza di interventi, la chiusura delle discariche soprattutto al Sud farà ulteriormente aumentare il numero dei viaggi della spazzatura verso gli impianti del Nord.
I costi economici e ambientali dei viaggi dei rifiuti
La carenza e la cattiva dislocazione degli impianti è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola.
Con i relativi costi. Per trasportare i 3,1 milioni di tonnellate di rifiuti trattati in regioni diverse da quelle di produzione, nel 2020 sono stati necessari 120mila viaggi di camion. Per 68 milioni di chilometri percorsi, con l’emissione aggiuntiva di oltre 40.000 tonnellate di CO2 e 75 milioni di euro in più sulla Tari (il 90% dei quali a carico delle regioni del Centro-Sud).
Inoltre, solo nel 2020, l’Italia ha pagato ben 67 milioni di euro per multe dall’UE per le inadempienze che sono state contestate sulla gestione dei rifiuti.
I vantaggi per l’approvvigionamento energetico
La realizzazione di nuovi impianti, infine, comporterebbe ulteriori vantaggi, contribuendo alla decarbonizzazione e potrebbe contribuire alla crisi energetica legata all’aumento del costo delle materie prime e aggravata dalla guerra in Ucraina.
Con il biometano prodotto attraverso il trattamento della frazione organica e l’energia elettrica rinnovabile degli inceneritori, si potrebbero infatti soddisfare rispettivamente le necessità energetiche di circa 230.000 e 460.000 famiglie.
“Realizzando gli impianti di incenerimento con recupero di energia necessari alla corretta gestione dei rifiuti e al raggiungimento degli obiettivi delle direttive sull’economia circolare, e valorizzando al contempo tutto il potenziale del biometano dai rifiuti a matrice organica, si otterrebbe un risparmio nelle importazioni di gas equivalenti al 5% di quelle dalla Russia precedenti al conflitto”. Conclude Brandolini.
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