Il recupero di materia viene spesso menzionato come qualcosa che dovrà essere sviluppato nel futuro, mentre in Italia esiste già una filiera consolidata e un’ampia ricerca in merito. Ad esempio nell’ambito degli pneumatici fuori uso (Pfu). Il tema è stato affrontato lo scorso 13 luglio, all’interno del webinar online: “Recupero di materia pilastro del green deal” organizzato da Greentire.
All’interno del web in air sono stati presentati due progetti di ricerca volti al riutilizzo degli Pfu nel manto stradale e all’analisi e alla valutazione della percentuale di materiali riciclati nei diversi prodotti.
La ricerca per recuperare qualità del manto stradale con i Pfu
Per ridurre contemporaneamente il consumo di energia e l’emissione di gas serra in atmosfera, migliorando le prestazioni e la durata delle pavimentazioni stradali, l’intuizione di Activa è di utilizzare il polverino di gomma derivante dalla frantumazione degli pneumatici a fine uso (Pfu).
L’obiettivo del progetto di ricerca
Per impiegare gli Pfu nei conglomerati bituminosi, si utilizzano 2 metodologie principali: la tecnologia “Wet”, che in una prima fase prevede la “digestione” dello Pfu nel bitume per ottenere un legante modificato. Nella seconda fase, quest’ultimo modificato è impiegato per il confezionamento delle miscele bituminose mescolandolo insieme a inerti e filler.
La seconda metodologia, è detta “dry” e prevede invece l’introduzione dello Pfu direttamente nel mescolatore insieme ad inerti, filler e bitume, producendo direttamente miscela bituminosa. Nel passato, questa metodologia dava dei problemi, oggi l’impiego dei granuli di gomma in modalità “dry” è cambiata, grazie a granuli di Pfu con dimensioni molto più piccole e alle nuove tecnologie di frantumazione degli pneumatici.
“In questo progetto di ricerca”, afferma l’ing. Francesco Paolo Santella, general manager di Activa, “è stato intrapreso un percorso di innovazione finalizzato a valorizzare i granuli di Pfu e gli additivi per gli asfalti, in modo che questi siano più durevoli, sostenibili e silenziosi”.
Verifica del criterio del contenuto di recupero
Valutare il criterio del contenuto di recupero è un asset sempre più strategico per i prodotti di economia circolare. Un elemento che può diventare strategico in ottica dei criteri ambientali minimi obbligatori per le gare pubbliche.
“Fino a prima, il contenuto di materia che deriva dal recupero, era considerato di serie B, ora invece, non solo sono ritenuti prodotti di serie A, ma il mercato li richiede sempre più e le aziende fanno promozione su quei prodotti” spiega Simona Faccioli, direttrice di Remade Italia, associazione senza finalità di lucro, diventata nel 2013 proprietaria del primo schema di certificazione accreditato in Italia per la verifica del contenuto di materiale riciclato in un materiale, semilavorato o prodotto finito, di qualsiasi settore e composto anche da diversi componenti. “Un paradigma che sta funzionando molto bene è il settore degli appalti, come sappiamo, dal 2016, per le pubbliche amministrazioni è obbligatorio inserire negli appalti dei criteri ambientali, ed ecco che qui diventa strategico il criterio del contenuto di recupero. Strategico diventa anche il livello della comunicazione, intesa come certificazione dell’etichetta che trasferisce le informazioni necessarie”.
All’interno delle pubbliche amministrazioni, si riscontrano delle difficoltà nell’introdurre i criteri ambientali minimi nei propri appalti. Da una parte, la difficoltà risiede nella mancanza di informazione, ma anche in una quota di timore che hanno le PA nel vedere le gare deserte, quindi pensano che i Cam siano benefici per il mercato, ma hanno poi paura che le aziende non siano conformi e quindi non possano avere prodotti e servizi adeguati a quei livelli.
“Dal nostro punto di vista”, continua Simona Faccioli, “questa è una difficoltà di comunicazione, nel senso che in realtà le aziende non comunicano in modo diretto di fare innovazione, pur avendo prodotti sostenibili e in linea con i Cam. A questo punto, entra in gioco un’etichetta, che comunica il contenuto di materia proveniente da recupero che, ovviamente ha dietro di sé un processo di verifica sulla tracciabilitá. Il fatto di utilizzare materiale da recupero, invece che quello vergine, comporta anche notevoli risparmi in termini di CO2”.
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