Il settore tessile dovrà affrontare nel prossimo futuro una sfida importante e percorrere delle tappe fondamentali, che lo porteranno in poco tempo a dover raccogliere i rifiuti tessili in maniera differenziata.
Mancano sei mesi infatti al 1° gennaio 2022, data in cui il nostro Paese dovrà necessariamente uniformarsi ai target fissati dall’Unione europea nel pacchetto di direttive sull’economia circolare, attraverso cui sta mettendo in piedi una strategia legata al tessile. Cresce in Europa la consapevolezza che, essendo il quarto settore per utilizzo di materie primarie e risorse idriche, dopo alimentari, costruzioni e trasporti, dovrà essere completamente ripensato, ma la filiera italiana è pronta?
L’Italia ha recepito il nuovo “pacchetto economia circolare” a settembre 2020, con il decreto legislativo n°116 del 2020, anticipando l’obbligo di tre anni rispetto alla data del 2025, chiesta dalla Ue.
Questo pacchetto sostanzialmente afferma che, l’Italia deve costruire un sistema di raccolta dei rifiuti tessili entro il 2022.
Parrebbe semplice, ma non lo è, perché attualmente la differenziata per questo tipo di rifiuti è strutturata solo parzialmente sul territorio nazionale e abbiamo un quantitativo raccolto pro capite a livello nazionale che non è altissimo, siamo intorno ai 2,6 kg per abitante, con dei quantitativi che variano fra i 2,88 kg del nord e i 2,95 del centro e soltanto circa 2 kg al sud. Ci sono delle eccellenze che arrivano a 4 kg come in Trentino Alto Adige o in Valle d’Aosta, ma poi ci sono dei casi come in Sicilia, dove si raccolgono 1 kg di rifiuti procapite. Al sud, la filiera è totalmente da costruire ex novo. I rifiuti comprendono, sia le frazioni tessili che l’abbigliamento.
In Italia, nell’ultimo censimento Ispra del 2019 sono stati prodotti e raccolti in maniera differenziata 157,7 mila tonnellate di rifiuti urbani, meno dell’1% del totale raccolto e poco più di 335 mila di rifiuti speciali, cioè provenienti dal settore produttivo, poco più dell’1,2% sul totale prodotto dalle imprese. L’obiettivo non è solo quello della raccolta, perché i rifiuti tessili concorrono anche all’obiettivo più ampio previsto per i rifiuti urbani del 65% di equiparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, che ha fissato il pacchetto rifiuti.
L’Unione europea ha tracciato un percorso, all’interno del quale il settore tessile è già stato individuato come strategico, ad esempio nel green deal europeo e nel Piano d’azione sull’economia circolare dello scorso anno. Perciò, questi obblighi a livello europeo per l’Italia costituiscono una grande opportunità a livello economico, considerando che anche il Pnrr ha tracciato delle grosse possibilità di finanziamento citando l’hub del tessile. L’Italia ha ancora grossi margini di miglioramento sulla raccolta, avendo una media del 5,7% di rifiuti tessili presenti nell’indifferenziato.
Una strategia nazionale ancora da costruire ex novo
Attualmente, il nodo da sciogliere risiede nell’assenza di una gestione a livello nazionale della filiera della raccolta differenziata per il tessile, che coinvolge circa 45 mila aziende e 398 mila addetti, per un fatturato che nel 2018 è stato di circa 55 miliardi di euro, circa il 30% dell’intero comparto Tam (tessile, abbigliamento, moda) europeo.
L’assenza di una strategia nazionale incide anche sui costi di gestione dei rifiuti tessili, come riportano i dati Ispra. Su un campione di 289 Comuni analizzati, il costo di trasporto e raccolta dei rifiuti tessili incide sui costi totali per l’80,5% per i rifiuti classificati come abbigliamento, mentre incidono per il 55,7% per i rifiuti classificati come tessile. Il costo di gestione risulta di 11,36 euro/kg al nord, dove la raccolta differenziata è più diffusa, di 24,93 euro/kg al centro e addirittura di 27,31 euro al sud.
Dati che confermano come, l’assenza di filiere organizzate si ripercuotono sui costi in bolletta, oltre ai danni ambientali che arrecano.
Mancano solo sei mesi per creare dal nulla una filiera organizzata che gestisca in modo efficiente questo tipo di rifiuti, una soluzione potrebbe essere quella di investire sui distretti industriali già esistenti, come in Toscana, Lombardia, Veneto e Piemonte che già ora mettono in pratica buone prassi in un’ottica circolare.
Bisognerà inoltre dismettere le cattive abitudini, come quella di spedire le frazioni tessili generiche all’estero, come ad esempio in Tunisia dove i controlli sono meno stringenti, in favore del riciclo di queste frazioni, utilizzando delle tecnologie di cui l’Italia è da tempo in possesso.
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