Uno dei principali problemi ambientali che il Pianeta deve affrontare oggi, è l’aumento del consumo e dei rifiuti di plastica.
Secondo un recente studio dell’Ocse, nel 2019 il mondo ha prodotto 460 milioni di tonnellate di plastica e il consumo continuerà a crescere, nonostante l’atteso aumento della diffusione delle tecnologie di riciclo.
Le emissioni di CO2 come materia prima
Con l’aumento delle emissioni di anidride carbonica, l’emergente industria della cattura e dell’utilizzo del carbonio (Ccu) propone una soluzione per entrambi i problemi, creando polimeri degradabili a basse emissioni di carbonio utilizzando le emissioni di CO2 come materia prima.
Il recente rapporto IDTechEx “Carbon dioxide (CO2) utilization 2022-2042: technologies, market forecasts, and players” analizza le opportunità e le sfide della creazione di questa proposta di economia circolare del carbonio.
Come produrre polimeri dalla CO2
Esistono almeno tre percorsi principali per convertire la CO2 in polimeri: elettrochimica, conversione biologica e termocatalisi.
Quest’ultima è la tecnologia di utilizzo della CO2 più matura, in cui può essere utilizzata direttamente per produrre polimeri a base di CO2, in particolare policarbonati biodegradabili a catena lineare (Lpc), o indirettamente, attraverso la produzione di precursori chimici (blocchi di costruzione come metanolo, etanolo, derivati dell’acrilato o glicole monoetilenico (Meg) per le reazioni di polimerizzazione.
I Lpc prodotti a partire dalla CO2 includono il polipropilene carbonato (Ppc), il polietilene carbonato (Pec) e i poliuretani (Pur).
Il Pur è uno dei principali mercati per i polimeri a base di CO2, con applicazioni nell’elettronica, nelle pellicole pacciamanti, nelle schiume e nei settori biomedico e sanitario. La CO2 può costituire fino al 50% (in peso) di un poliolo, uno dei principali componenti del Pur.
I polioli derivati dalla CO2 (alcoli con due o più gruppi ossidrilici reattivi per molecola) sono prodotti combinando la CO2 con eteri ciclici (molecole ad anello contenenti ossigeno, chiamate epossidi). Il poliolo viene poi combinato con un componente isocianato per ottenere il Pur.
Aziende come Econic, Covestro e Aramco performance materials hanno sviluppato nuovi catalizzatori per facilitare la produzione di polioli a base di CO2. Questo percorso termochimico richiede ancora l’uso di combustibili fossili, ma i produttori possono sostituirne una parte con la CO2 di scarto, risparmiando potenzialmente sui costi delle materie prime.
Il ruolo dell’elettrochimica e della sintesi microbica
Tra le tecnologie emergenti, i precursori chimici per i polimeri a base di CO2 possono essere ottenuti attraverso l’elettrochimica o la sintesi microbica. Sebbene la conversione elettrochimica della CO2 in prodotti chimici sia in una fase iniziale di sviluppo, i percorsi biologici sono più maturi, avendo raggiunto la fase di prima commercializzazione.
I recenti progressi nell’ingegneria genetica e nell’ottimizzazione dei processi hanno portato all’uso di microrganismi chemioautotrofi in percorsi biologici sintetici per convertire la CO2 in prodotti chimici, carburanti e persino proteine.
A differenza della sintesi termochimica, questi percorsi biologici utilizzano generalmente condizioni vicine alla temperatura e alla pressione dell’ambiente, con il potenziale di essere meno dispendiosi in termini di energia e di costi su scala.
In particolare, la start-up californiana Newlight sta introducendo sul mercato una via biologica diretta ai polimeri, dove il microbo trasforma la CO2 catturata, l’aria e il metano in un poliidrossibutirrato (Phb), ovvero un polimero degradabile enzimaticamente.
Attualmente, la scala della produzione di polimeri a base di CO2 è ancora inferiore rispetto all’industria petrolchimica tradizionale, ma esistono già esempi commerciali di successo. Uno dei più grandi volumi disponibili è quello dei policarbonati aromatici (PC) ottenuti da CO2, sviluppato da Asahi Kasei a Taiwan dal 2012.
Più di recente, l’azienda statunitense LanzaTech ha stretto con successo partnership con grandi marchi come Unilever, L’Oréal, On, Danone, Zara e Lulumelon, per utilizzare i microbi nella conversione delle emissioni di carbonio catturate dai processi industriali in precursori di polimeri, come etanolo e Meg, per la produzione di articoli da imballaggio, scarpe e tessuti.
I diversi quesiti ancora aperti
Sebbene l’idea di riutilizzare i gas serra di scarto come materia prima sembri una proposta vantaggiosa per tutti, sorgono molte domande sulla fattibilità di ogni percorso di utilizzo della CO2. Porterà davvero a una riduzione delle emissioni? Quali sono gli ostacoli finanziari e pratici alla sua commercializzazione? È in grado di “scalare”per affrontare in modo significativo il cambiamento climatico?
Queste sono alcune delle difficili domande che IDTechEx ha affrontato nell’ultimo rapporto “Carbon Dioxide (CO2) Utilization 2022-2042: Technologies, Market Forecasts, and Players”, che si concentra non solo sull’uso della CO2 nei mercati dei polimeri e della chimica, ma anche nel recupero del petrolio, nei materiali da costruzione, nei carburanti e nell’aumento della resa biologica.
Rimane il fatto che, non tutti i percorsi di utilizzo della CO2 sono ugualmente vantaggiosi per gli obiettivi climatici e non tutti saranno economicamente scalabili. Le risorse scarse che hanno usi alternativi devono essere allocate dove è più probabile che generino valore economico e mitigazione dei cambiamenti climatici. Ma, dal momento che la sete di plastica nel mondo non accenna a diminuire, un’economia circolare del carbonio può aiutare a mantenere lo stile di vita delle persone, promuovendo però un’industria petrolchimica che consideri i rifiuti di CO2 come una materia prima valida.
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