Tanti sono gli studi che segnalano la pervasività delle microplastiche, materiali che sono stati rinvenuti anche nei luoghi più remoti del pianeta come, ad esempio, la celebre fossa delle Marianne. Ora una ricerca ha fatto un passo in più e ha analizzato la modalità con cui queste microparticelle si spostano, sostenendo che questi frammenti vengono trasportati nei territori più reconditi dal vento insieme alla polvere.
Microplastiche sui Pirenei
Tra i luoghi in cui il materiale plastico è stato trovato c’è anche la catena montuosa dei Pirenei in Francia. I ricercatori sono riusciti a raccogliere ogni giorno circa 249 frammenti, 73 pellicole in plastica e 44 fibre per ogni metro quadro. Le microplastiche sono inoltre state rilevate anche in alcune città vicine. Gli studiosi hanno ipotizzato, in base una serie di simulazioni che le particelle possano spostarsi viaggiando per una distanza che arriva addirittura a 100 km.
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Inquinamento da plastica, una questione di giustizia ambientale
Quello delle microplastiche è solo uno dei tanti volti dell’inquinamento causato dal materiale plastico, che registra numeri preoccupanti su scala globale abbinati a trend di crescita esponenziale. Per affrontare in maniera adeguata questa problematica, come sottolinea Greenpeace sul suo sito, bisogna cercare di tematizzare la natura poliedrica del problema, che tocca in maniera trasversale diversi ambiti: da quello prettamente ambientale a quello sociale. I rifiuti, spiega l’associazione, spesso vanno infatti a finire in quei territori dove non ci sono nè le risorse economiche nè il margine d’azione politica del governo per intervenire e tutelare i cittadini. In questo senso la questione dell’inquinamento da plastica si connota come una problema di giustizia ambientale.
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Lo studio di Greenpeace
Una nuova collaborazione di ricerca tra Greenpeace East Asia e la Global Alliance for Incinerator Alternatives (GAIA) ha in particolare analizzato il flusso di plastica “riciclabile” in tutto il mondo e il suo impatto sulle persone. Dallo studio è emerso come spesso, quando i rifiuti non possono venire esportati, finiscono nei territori dove vivono le comunità più vulnerabili. All’inizio del 2018, solo per fare un esempio, la Cina ha smesso di accettare i rifiuti (tra cui anche quelli in plastica) provenienti da altri paesi come USA, Regno Unito, Germania e Giappone.
Per questo motivo, spiega Greenpeace, questi rifiuti hanno iniziato a riversarsi nel sud-est asiatico: in Tailandia, in Malesia e in Vietnam. Questi paesi sono poi riusciti a frenare questo flusso di rifiuti attraverso una serie di restrizioni e una parte è stata dirottata in Indonesia. Questa situazione ha causato nei paesi coinvolti enormi quantità di rifiuti in plastica ammassati per le strade, colture avvelenate dai roghi per smaltire questa immondizia ed emissioni di sostanze tossiche dannose per la salute per le persone che della zona.
Startup e riciclo della plastica, un binomio vincente
Lasciando da parte le questioni di matrice sociale legate al problema plastica, vediamo alcune innovazioni proposte dal mondo delle startup per riciclare questo materiale. Origin Materials, ad esempio, propone bottiglie di plastica realizzate a partire da materiali rinnovabili come segatura, cartone. Agilyx, nata del 2006, ha raccolto invece 61,3 milioni di dollari per sviluppare una tecnologia per riciclare completamente il polistirolo. Biocellection infine, nata nel 2015 in California, riesce a trasformare i sacchetti di plastica in prodotti utili come giacche da sci sintetiche. Il processo coinvolge una serie di reazioni di chimica organica piuttosto complesse, in cui un catalizzatore che rompe una catena polimerica per innescare una reazione a catena.
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