Nel 2020 il settore della bioeconomia in Italia ha fatturato 317 miliardi di euro con un calo nella produzione inferiore agli altri settori (-6,5%). Anche sotto il profilo dell’occupazione i numeri ci sono. Il comparto impegna poco meno di due milioni di persone. È quanto emerge dal settimo report “La Bioeconomia in Europa”, presentato oggi 30 giugno a Trieste, nell’Urban center, e redatto dalla direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il cluster Spring e Assobiotec – Federchimica in collaborazione con gli economisti di Srm -Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (centro studi collegato al gruppo Intesa Sanpaolo).
La resilienza alla pandemia è confermata dal settore in tutta Europa con cali inferiori alla crisi economica: -4,3% per il Regno Unito, -3,1% per la Germania, -3% per la Spagna, -2,3% per la Francia e +3,3% per la Polonia. Il che sembra confermare come l’onda green sia più elastica all’impatto della forza pandemica.
Alcune differenze sull’impatto della bioeconomia tra diversi settori in Italia
La filiera agro-alimentare nonostante la chiusura della ristorazione è risultata la meno colpita dalla crisi generata dalla pandemia. Si tratta di un mercato che per l’Italia rappresenta oltre il 60% del valore del comparto della Bioeconomia.
Stesso trend positivo per le utilities (energia, acqua, rifiuti) e la filiera della carta (grazie al sostegno dei prodotti per utilizzi sanitari e del packaging, visto il boom del commercio online).
Le stime originali, realizzate in collaborazione con Srm-Studi e ricerche per il Mezzogiorno, evidenziano un ruolo particolare della Bioeconomia nelle regioni del Nord-Est e del Mezzogiorno, con un peso sul valore aggiunto regionale dell’8,2% e 6,7% rispettivamente (anno 2018). Sotto la media italiana (6,4%) invece il peso della Bioeconomia nel Nord-Ovest (5,3%) e nel Centro (5,7%).
In crisi invece il settore della moda che ha registrato la flessione più accentuata, a causa della chiusura della fase distributiva, del blocco negli arrivi di turisti stranieri e delle modifiche nelle preferenze d’acquisto dei consumatori. Nel rapporto emerge come il sistema moda bio-based incide sensibilmente sulla Bioeconomia delle diverse aree geografiche, con una crescente attenzione ai temi della sostenibilità che sta coinvolgendo tutta la filiera produttiva, lungo tutta la penisola.
Le regioni più influenzate dal settore
Le prime regioni in Italia per valore aggiunto della Bioeconomia sull’economia regionale sono Basilicata e Trentino-Alto Adige, con un’incidenza del 9,3%. Seguono Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, con un peso compreso tra l’8% e l’8,7%. Sotto la media nazionale la Lombardia (5,4%), che sconta una maggiore diversificazione produttiva insieme a Piemonte, Campania e Sicilia.
Le regioni del Mezzogiorno spiccano nella graduatoria nazionale in termini di occupazione, con un’incidenza del 10,7%, circa 3 punti percentuali in più rispetto alla media italiana (7,9%). Si posizionano ai primi posti, infatti, 4 regioni meridionali: Calabria (15,8%), Basilicata (15,1%), Puglia (13,2%) e Molise (11,6%). Nel Nord-Est, con un peso dell’8,8%, emerge il Trentino-Alto Adige, mentre nelle regioni del Centro (6,8%) spicca il peso delle Marche (10,8%), seguito da Toscana (9,5%) e Umbria (9,5%). Sotto la media italiana invece tutte le regioni de Nord-Ovest (5,6%).
La chimica bio-based favorisce l’economia circolare in Italia
Sono più di 830 soggetti in Italia a occuparsi di chimica biobased cioè che lavora usando scarti e residui industriali per trasformarli in altri prodotti, spesso biodegradi. Ne fanno parte le 84 università e centri di Ricerca (pubblici e privati) alle circa 730 imprese (con più di 500 start-up), a cui si affiancano altre istituzioni ed associazioni con ruolo di supporto e promozione.
Oltre alle imprese chimiche, che costituiscono più del 40% delle imprese censite al netto delle start-up, è di rilievo la presenza di imprese della filiera agro-alimentare, delle utility, della moda e delle imprese del legno e carta. Stanno entrando inoltre nuovi settori come la meccanica, con progetti di ricerca volti alla messa a punto di macchinari in grado di utilizzare i nuovi composti, l’automotive, interessato alla sostituzione di materiale a base fossile con prodotti a matrice bio-based.
Un approccio abbastanza ben distribuito lungo tutta la penisola ma che vede alcune aree a più alta densità di specializzazione come: Lombardia con circa il 20%, Piemonte, soprattutto per il settore ingegneristico nell’economia circolare, Trentino- Alto Adige e Friuli-Venezia-Giulia (in particolare nella R&S) e Veneto per la chimica.
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