Il fast fashion inquina anche nel trasporto aereo. Questo quanto emerge da un report della ONG svizzera PublicEye. Lo studio evidenzia come il colosso dell’abbigliamento spagnolo Inditex, che detiene marchi come Zara, Pull&Bear, Massimo Dutti, Bershka, Stradivarius e Oysho, trasporti per via aerea enormi volumi di articoli, generando così notevoli impatti ambientali.
Si tratterebbe di un aumento del 37% di emissioni di CO2 nel 2023 pari a quasi 2 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti. A sottolineare la necessità di agire per ridurre questo impatto Fondazione Finanza Etica, fondazione culturale del Gruppo Banca Etica, nel corso dell’assemblea degli azionisti che si è tenuta martedì 9 luglio a La Coruña, in Spagna.
Il trasporto aereo di merci di Index non è solo intercontinentale
Stando ai dati pubblicati dal report di PublicEye, Inditex effettua il trasporto aereo di merci non solo per le rotte intercontinentali, come invece afferma. Difatti sono stati registrati articoli di moda volati anche dalla Turchia.
Inoltre non considera il tema della “moda aerea” all’interno della analisi del rischio climatico. Il gruppo tessile considera vincente l’accordo con la compagnia petrolifera Repsol che sostituirà con biocarburanti il 5% del cherosene utilizzato negli aeromobili di una compagnia di trasporto merci che trasporta merci per Inditex (Atlas Air). Un impatto minimo secondo il report sull’impatto complessivo.
Secondo gli attivisti “Inditex stesso detiene la chiave per il phase-out della moda aerea. Non appena l’azienda abbassa le sue richieste assurde ed eccessive per il fatturato del suo fast fashion, il capitolo della moda aviotrasportata potrebbe concludersi”. D’altronde come stanno mostrando alcune aziende della moda globale, si può lavorare senza trasporto aereo.
Non è il primo richiamo all’abbattimento dell’impatto ambientale
Non si tratterebbe di un primo richiamo al rispetto dell’ambiente per la Fondazione. Difatti già nel marzo del 2024, assieme alla rete di azionisti attivi SfC-Shareholders for Change, di cui la Fondazione è socia fondatrice, era stata fatta richiesta tramite lettera di avere un dettaglio delle emissioni generate dal trasporto aereo. Chiedendo anche quali siano le strategie e obiettivi misurabili per ridurle. La risposta è arrivata dopo due mesi, priva di dati.
A questa azione ha fatto seguito un’ulteriore lettera e un incontro online ma senza ottenere “risultati apprezzabile” secondo la Fondazione Finanza Etica.
Da qui il passo seguente l’assemblea degli azionisti.
“Gli impatti sociali e ambientali negativi legati alla fast fashion sono sotto i riflettori da molto tempo, come denuncia la Campagna Abiti Puliti. In occasione del nostro intervento come azionisti critici all’assemblea di Inditex abbiamo voluto focalizzarci sul tema delle emissioni legate alla logistica e ai trasporti. Le risposte in proposito sono state deludenti“, spiega in una nota Barbara Setti, delegata di Fondazione Finanza Etica in assemblea. “Benché l’impresa si sia sempre dimostrata aperta al dialogo, finora non ha compiuto alcun passo avanti concreto significativo per ridurre la propria impronta ecologica. Continueremo a sostenere PublicEye e, in Italia, la Campagna Abiti Puliti, affinché Inditex pubblichi un piano serio per la riduzione delle emissioni generate dal trasporto aereo e dalla logistica in generale. Considerato che altri colossi della fast fashion hanno avviato percorsi di maggiore trasparenza e condivisione delle informazioni, invitiamo Inditex a seguirne l’esempio e a pianificare un’azione concreta di riduzione dei propri impatti ambientali. La lotta ai cambiamenti climatici non può aspettare”.
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La replica di Index
“Da tempo Inditex è impegnata in un percorso che mira alla riduzione delle emissioni del 50% entro il 2030 e del 90% entro il 2040. In questo percorso, il gruppo lavora per il miglioramento costante dei processi e delle modalità operative, non solo nelle attività di trasporto ma anche in tutte le fasi del modello di business: dai materiali che sono utilizzati ai processi necessari per la fabbricazione dei prodotti, fino all’impatto del fine vita dei capi (ulteriori dettagli sono contenuti nel piano di transizione climatica).
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