Produrre idrogeno, ma non solo, dai rifiuti solidi urbani, dalle plastiche non riciclabili e dalle biomasse, senza inquinare ed utilizzando energia rinnovabile, è certamente qualcosa di avveniristico, ma non impossibile, infatti i ricercatori di Enea ci stanno già lavorando e sono arrivati a brevettare un nuovo processo.
Per capire meglio in cosa consiste questo processo, Canale Energia ha intervistato il ricercatore Enea, Alberto Giaconia, inventore del brevetto.
Ci può spiegare in cosa consiste la via termochimica per la produzione di idrogeno e al tempo stesso per la valorizzazione energetica dei rifiuti?
Si tratta di un processo che utilizza calore da fonti rinnovabili per estrarre l’idrogeno dai rifiuti. Si differenzia pertanto sia dai processi elettrochimici, che producono idrogeno dall’acqua mediante elettrolisi, sia dai processi biologici per la conversione dei rifiuti mediante fermentazione anaerobica. Il processo è puramente chimico, realizzabile mediante opportuna integrazione tra due reattori chimici catalitici: un reattore di idrogassificazione e un reattore di reforming.
A differenza dei comuni processi di gassificazione e combustione, questo trattamento si basa su un’operazione di idrogassificazione. In cosa consiste esattamente e come avviene il processo di trasformazione? Quanta acqua serve per il processo? Il trattamento rischia di contaminarla?
Nei processi di gassificazione e combustione la nostra materia prima a base carboniosa, ovvero il nostro rifiuto solido, viene gassificato ad elevate temperature, generalmente superiori ai 700°C, mediante ossidazione parziale o totale, che comporta la rottura dei legami chimici della matrice solida che si ossida in modo parziale o totale. Nell’idrogassificazione, invece, la nostra materia prima non viene ossidata ma ridotta e il processo avviene a temperature molto inferiori, generalmente tra i 300 e i 500°C.
Chimicamente si tratta del processo inverso, che rompe sempre i legami chimici della matrice solida, ma l’agente gassificante è l’idrogeno: così il carbonio presente, invece di legarsi all’ossigeno, si lega all’idrogeno formando metano che è un intermedio nel nostro processo, in quanto verrà convertito in idrogeno nel successivo stadio di steam reforming.
L’idrogassificazione in sé non richiede acqua, mentre il processo di reforming richiede alimentazione di acqua, parte della quale può derivare dal rifiuto di partenza. Nel suo complesso, circa metà dell’idrogeno prodotto deriva dall’idrogeno legato chimicamente al rifiuto, mentre la restante metà deriva dall’acqua necessaria al processo di steam reforming, che può essere appositamente aggiunta e in parte derivante dallo stesso rifiuto.
L’acqua alimentata viene pertanto convertita in idrogeno. Il processo non prevede alcuno scarico di acque reflue.
Quali prodotti si ottengono esattamente da questo processo di combustione e quali caratteristiche hanno? Quali i vantaggi dal punto di vista economico ed ambientale?
Dal processo di idrogassificazione si ottiene una corrente gassosa costituita prevalentemente da metano; quest’ultimo trascinerà anche del vapore d’acqua, utile allo stadio di steam reforming successivo, e dell’idrogeno non convertito che verrà recuperato e riciclato al reattore. Nella corrente gassosa potranno trovarsi tracce di altri prodotti della gassificazione che verranno recuperati.
Il vantaggio di questo processo, rispetto alla combustione e alla gassificazione, è la riduzione o eliminazione delle emissioni di diossine. Sicuramente vi sarà anche un residuo solido che dovremo quantificare e minimizzarne i volumi. Per questo le condizioni operative dell’idrogassificazione vanno ottimizzate.
Riguardo i potenziali vantaggi economici, sappiamo come lo smaltimento di rifiuti non riciclabili meccanicamente, ma destinabili al recupero energetico o al conferimento in discarica, può avere costi dell’ordine dei 50-200 €/tonnellata.
Il nostro processo permetterebbe di evitare tale costo e al tempo stesso produrre un combustibile pulito come l’idrogeno. Per questo parliamo di valorizzazione energetica dei rifiuti.
Dal punto di vista ambientale, i vantaggi derivano da diversi fattori: in primo luogo, assenza di emissioni inquinanti nei pressi dell’impianto di termovalorizzazione, grazie all’assenza di processi di combustione. Prevediamo inoltre di ridurre o azzerare la produzione di diossine. Infine, la CO2 prodotta dallo steam reforming del metano prodotto sarà facilmente separabile, dando così la possibilità ad un suo possibile riutilizzo senza immissione diretta in atmosfera e, con potenziali benefici anche in termini di contrasto ai cambiamenti climatici.
Come può essere impiegato l’idrogeno prodotto in eccesso? La trasformazione prevede l’immagazzinamento di idrogeno e di energia rinnovabile?
Oggi, si parla frequentemente del ruolo che può assumere l’idrogeno nella transizione ecologica, in particolare per la decarbonizzazione di alcuni settori specifici. Avremo pertanto un mercato emergente dell’idrogeno con diversi canali di distribuzione e di utilizzo, dalla mobilità sostenibile all’industria chimica e metallurgica.
Non dimentichiamoci che il processo permette anche la produzione di una miscela metano/idrogeno che potrebbe essere immessa nella rete gas.
Il processo non solo prevede il trattamento di riduzione dei rifiuti, ma anche l’immagazzinamento di energia rinnovabile in forma chimica.
Il contenuto energetico dell’idrogeno green prodotto sarà superiore rispetto a qualunque altro combustibile ricavabile dallo stesso rifiuto: questo grazie all’apporto dell’energia rinnovabile sul processo, che rimarrà stoccata sotto forma di un combustibile come l’idrogeno.
Quali vantaggi per il sistema del riciclo e quali i migliori impieghi previsti?
Il processo sviluppato rappresenta un’alternativa ai più comuni processi di combustione diretta, gassificazione termica o fermentazione per la valorizzazione energetica dei rifiuti. In questo caso, prevediamo anche una valorizzazione energetica del rifiuto: il processo proposto infatti costituisce un efficiente sistema per l’immagazzinamento di energia rinnovabile. Riteniamo possa essere utilizzato per il trattamento di plastiche non riciclabili, come il plasmix, e rifiuti organici indifferenziati e non riciclabili di vario genere.
Un obiettivo che ci siamo posti è quello di valutare la taglia minima di tali impianti in vista di un’applicazione distribuita sul territorio.
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