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L’industria tessile è un settore cruciale per l’economia italiana, ma per rimanere competitive all’interno del mercato, le aziende dovranno compiere lo sforzo di diventare circolari e sostenibili, qualsiasi sia la loro dimensione, altrimenti verranno tagliate fuori dal mercato.

Come attuare questa transizione affatto scontata e lenta e quali sono gli strumenti a disposizione, sono state le questioni emerse durante l’evento “Circular threads” tenutosi il 22 giugno a Biella e online, organizzato da Tondo circular economy, che in collaborazione con fondazione Pistoletto, Associazione tessile e salute e Rén ha anche condotto una ricerca che punta a misurare il livello di sostenibilità e circolarità su scala settoriale e aziendale.

I nuovi trend del tessile e della moda

Marco Capellini ceo di Matrec spiega perché è importante misurare la circolarità: per dare concretezza all’economia circolare, quantificando le risorse impiegate e per quantificare a sua volta il ciclo economico di queste ultime, per conoscere eventuali criticità e per comunicare chiaramente i risultati e i benefici ottenuti. 

La finalità di alcuni progetti di misurazione è ovviamente misurare, ma successivamente cosa si vuole comunicare, sicuramente di essere circolare, ma circolare in cosa?

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Capellini ha mostrato una matrice che può portare ad oltre 1000 differenti combinazioni, ciò significa che la misurazione deve servire a valutare lo stato di salute ambientale dell’azienda. Visto che, perlomeno inizialmente, l’obiettivo è quello di migliorare la propria situazione aziendale, bisogna comunicare internamente all’azienda più che all’esterno.

Il ruolo dei materiali riciclati o su base bio

Altro aspetto, la scelta dei materiali: la circolarità viene spesso associata alla scelta di materiali, magari bio-based, ma il materiale è solo un aspetto,  non definisce da solo la circolarità del prodotto, mentre la misurazione si inserisce all’interno di un sistema. Piuttosto, è la circolarità di un prodotto a condizionare la scelta di un materiale. 

Quindi, la scelta materica è fondamentale. Oggi nascono troppi materiali da soluzioni a fine vita, bisogna invece capire come gestire il flusso di produzione e non solo quest’ultimo.

Giusy Cannone di Fashion technology accelerator fa una panoramica delle innovazioni che possono aiutare a essere sostenibili ed evitare sovrapproduzione e sprechi, affermando che per raggiungere la circolarità non ci si deve basare solo sul materiale ma anche sul tipo di tessuto, ovviamente avendo ben presente che per innovare nel tessile occorrono diversi anni ed è una sfida tutt’altro che semplice.

Attualmente, il poliestere riciclato che deriva dalla plastica riciclata, permette un risparmio del 59% rispetto al poliestere vergine ed è largamente utilizzato. Ma si stanno diffondendo sempre più tessuti sostenibili bio-based che derivano dai rifiuti, risorse che altrimenti non verrebbero utilizzate, come ad esempio lo scarto delle foglie di ananas.

Le sperimentazioni attualmente sono numerose: si vanno a creare dei tessuti in laboratorio attraverso la bio-ingegneria, replicando il comportamento dei ragni da seta. Ad esempio un’azienda brasiliana sta cercando di sviluppare un cotone in laboratorio.

Altro aspetto negativo della produzione sono le quantità di acqua, energia e coloranti impiegate, ma esistono soluzioni che propongono di utilizzare coloranti naturali, attraverso microrganismi che creano una colorazione naturale sui tessuti.

Oggi la produzione è superiore a ciò che si consuma e di cui si ha bisogno, a questa sovrapproduzione si può porre rimedio producendo capi su richiesta del consumatore, per andare incontro ad una produzione personalizzata ed automatizzata.

In Italia rispetto all’estero, non è ancora diffuso il riuso, il noleggio e il second-hand, anche se in aumento rispetto al passato, oppure la pratica di tenere un capo per una stagione e poi cambiarlo con un altro solo per il gusto di cambiare.

Il modello digitale

Uno dei driver è sicuramente il modello digitale: alcuni brand stanno aprendo dei market place sul second-hand, oppure si può acquistare un capo ricevendo una foto e video che permette di indossarlo virtualmente come se si fosse nel camerino di un negozio.

La formazione

Rossella Ravagli della fondazione Pistoletto ha annunciato il lancio di una formazione triennale su moda e sostenibilità, per formare i protagonisti delle aziende del futuro che abbiano già una forma mentis sui temi della sostenibilità, che si svilupperà sempre più sul tema della rigenerazione.

“L’approccio da avere è olistico, afferma Rossella Ravagli, è necessario non concentrarsi sulla singola azienda o sul singolo tema, la circolarità deve essere una forma mentis per tutti: da chi si occupa dell’approvvigionamento, alla produzione fino al post vendita. Qualunque cosa si faccia, questa ha un impatto in questo settore anche sul fronte dei lavoratori e del sociale”.

Le dinamiche del second-hand

Il second-hand è in crescita globalmente, un capo utilizzato due volte permette di abbattere il 40% delle emissioni. Bisogna disaccoppiare crescita economica ed emissioni, in caso contrario, non si raggiungeranno gli obiettivi 2030. 

Le aziende dovranno passare da una strategia chiusa ed egocentrica ad un ecosistema come è per la natura, che si rigenera continuamente.

Fondamentale, la collaborazione tra le aziende dello stesso settore, ma anche tra settori diversi, perché ciò che è un rifiuto per una azienda può diventare una risorsa per un’altra.

La sovrapproduzione può essere evitata ottimizzando la stessa produzione, agendo a monte con l’eco-design attraverso i disassemblati, in questo modo non si ha nemmeno il bisogno di arrivare a trattare il rifiuto tessile. Dal canto loro, blockchain e intelligenza artificiale possono essere utili nell’aiutare a gestire l’overstock.

Misurazione della circolarità attraverso tre casi studio

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Alessandro Innocenti, research analyst di Tondo, ha condotto una analisi della circolarità basandosi sulla misurazione quantitativa della circolarità dei prodotti presentati dalle aziende, usando la metodologia Ellen MacArthur. Mediante questa, si ha una quantificazione numerica dei flussi di materiali in ingresso, quindi materie prime in entrata, e dei rifiuti in uscita, materie prime utilizzate nella produzione. Viene anche tenuto conto della quantificazione delle percentuali dei materiali che vengono riciclati, fondamentale per la circolarità del prodotto, e quanto dura quel prodotto.

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Analizzando il marchio Marchi & Fildi e il suo tessuto Ecotec Supernova, composto per il 67% da lana ecotec post consumer, dal 30% di poliammide e dal 3% di altre fibre, sviluppato e prodotto interamente nell’impianto di Biella, il punteggio raggiunto è stato pari al 39%.

Ciò che ha permesso di raggiungere questo punteggio è l’utilizzo del 67% di lana post consumer ecotec e quindi riutilizzata dopo la prima vita, in più, metà degli scarti della lana sono destinati al riciclo e il packaging è fatto al 90% in carta riciclata. 

Ciò che ha abbassato il punteggio è la presenza di una parte di materia vergine, il poliammide, e la gestione del rifiuto tessile affidata all’Italia, che attualmente ha solo il 15% dei rifiuti tessili destinati a riciclo e riuso, mentre la restante percentuale non è trattata per quel tipo di materiale. Dunque, questo abbassa la circolarità di un prodotto che diventa rifiuto in Italia, perché non si ha per ora una gestione abbastanza circolare.

Se la gestione del rifiuto in Italia fosse circolare e sostenibile, il punteggio arriverebbe al 70%.

Per far capire il livello elevato in cui si trovano le aziende che si sono in modo trasparente sottoposte a questa analisi, il dott. Innocenti specifica che, se si analizzasse un prodotto standard come una t-shit in cotone interamente vergine, questa avrebbe un indice di circolarità del 3/4%. 

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Il secondo marchio analizzato è Wrad, che nel 2017 ha lanciato la sua prima maglietta graphi-tee, tinta con polvere di grafite riciclata dalle lavorazioni di un’azienda che produce elettrodi, permettendo di recuperare quasi 25 milioni di grafite.

Il punteggio raggiunto è molto simile, 38%, qui incide positivamente l’utilizzo di grafite post-consumer come tintura, il prodotto al 100% in cotone organico e gli scarti di produzione rivalorizzati per essere reimmessi nel processo di produzione. 

Il cotone organico ha un impatto inferiore rispetto ad un altro tipo di cotone non certificato, quindi è un materiale sicuramente più sostenibile rispetto ad un cotone normale. 

Anche il packaging è costituito da carta certificata Fsc più sostenibile della normale carta.

Ciò che in questo caso va ad abbassare il punteggio è l’assenza di tessuti riciclati, nonostante venga impiegato un cotone organico più sostenibile, ma è un materiale vergine che nella metodologia va considerato. 

Anche qui, l’impatto della gestione dei rifiuti tessili su modello italiano non premia dal punto di vista della circolarità.

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Il terzo marchio è Rifò di Nicolò Cipriani, che è nato a Prato quattro anni fa e produce capi e accessori di alta qualità, realizzati con fibre tessili rigenerate e rigenerabili. Grazie all’aiuto di artigiani locali, trasforma vecchi indumenti in nuovi filati a km zero, raccogliendo direttamente lana, cachemire e jeans in 100 punti di raccolta Naturasì e online.

In questo modo, la raccolta può essere incrementata insieme al proprio impatto sociale. 

L’idea era quella di creare un prodotto che fosse anche un progetto il più possibile riciclato, rispettando uno standard di qualità, ma allo stesso tempo che potesse essere di nuovo rigenerato.

Il punteggio totalizzato da Rifò è 83%, poiché il prodotto analizzato, il maglione in cachemire Romeo, è prodotto al 95% in cachemire riciclato in-house, senza l’utilizzo di alcun materiale vergine.

Il packaging è al 100% in carta riciclata e la durabilità stimata del maglione in oggetto è di 10 anni rispetto ai 5 del prodotto medio equivalente.

Anche qui, la gestione dei rifiuti su modello italiano penalizza, in attesa di un modello di take-back ancora non avviato.


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Professionista delle Relazioni Esterne, Comunicazione e Ufficio Stampa, si occupa di energia e sostenibilità con un occhio di riguardo alla moda sostenibile e ai progetti energetici di cooperazione allo sviluppo. Possiede una solida conoscenza del mondo consumerista a tutto tondo, del quale si è occupata negli ultimi anni.