Il fatturato del sistema italiano dei prodotti cosmetici nel 2020 ha raggiunto i 10.6 miliardi di euro, che arrivano a 33.2 miliardi se si considera l’intera filiera. Occupa 36mila addetti diretti e 400mila con l’indotto.
Alla luce di questi numeri importanti, il settore della cosmesi sta acquisendo una maggiore consapevolezza sul suo impatto ambientale, decidendo di mettere al centro della sua strategia, innovazione, ricerca e sviluppo per affrontare la sfida della sostenibilità.
Canale Energia intervista Cristiana Guerranti, responsabile Area controllo cosmesi e detergenza QCertificazioni e Sara Palombella, pharma&cosmetics sector leader Bureau Veritas Italia.
La sostenibilità è ormai il nuovo mantra delle aziende, ma le più trasparenti ammettono di riuscire ad essere sostenibili solo su alcuni segmenti e non lungo tutta la filiera. Nel settore della cosmesi, a che punto siamo? Quali sono le aree aziendali che possono ritenersi ad un buon livello di sostenibilità e dove invece si è appena all’inizio di questo processo?
Sara Palombella: Un’organizzazione può dirsi veramente sostenibile e socialmente responsabile se riesce ad ingaggiare i propri fornitori e subfornitori condividendo obiettivi, piani di miglioramento e di monitoraggio volti a garantire la tutela delle persone e dell’ambiente. Si tratta di un impegno poderoso, che presuppone una conoscenza approfondita della propria filiera e dei diversi livelli in cui essa si articola.
Uno degli ostacoli è rappresentato dalla scarsa disponibilità di alcuni fornitori a condividere con il cliente informazioni sulla propria catena, per timore di essere “scavalcati”. Questa opacità dei livelli di sub-fornitura può rappresentare un rischio per i clienti, di non facile gestione.
Lo strumento giusto in questi casi è il coinvolgimento dei fornitori diretti nel progetto di monitoraggio, in modo che si sentano protagonisti del percorso volto a sondare e a migliorare le prestazioni sociali ed ambientali della filiera. Poter comunicare al mercato le prestazioni di sostenibilità della propria filiera rappresenta un vantaggio tangibile in termini di posizionamento, con ritorni positivi sul fatturato.
Si può dire che tra le aziende del settore sia diffuso il “greenwashing”?
Cristiana Guerranti: In questi ultimi anni la sostenibilità è diventata una preziosa carta da giocarsi nella comunicazione con il consumatore, sempre più sensibile ed attento alle “virtù” sociali ed ambientali di un prodotto. I responsabili marketing hanno sollecitato i propri colleghi tecnici a identificare le peculiarità dei prodotti che potessero essere valorizzate come distintive, talvolta forzando la mano nel tentativo di raggiungere il consumatore con un messaggio semplice e diretto.
Il rischio di comunicazioni ambigue, non verificate né verificabili è molto alto, soprattutto perché non sono ancora pienamente conosciute le normative tecniche che possono guidare le aziende a comunicare correttamente, quali la Iso/TS 17033, la Iso 14021 e la Uni PdR 102:2021. D’altro canto, il livello di informazione e senso critico dei consumatori è sempre più elevato. Al momento sono ancora pochissime le aziende che chiedono la validazione e/o la verifica dei claims di sostenibilità a fronte degli standard sopra citati, ma è probabile che il tempo consoliderà questo trend, proprio perché la verifica di terza parte permette di dare al consumatore garanzie ulteriori.
Quali sono le richieste in tema di sostenibilità che vi giungono dal consumatore?
Sara Palombella: Il consumatore vuole capire cosa c’è dietro il prodotto, da dove arriva, quale origine hanno le materie prime che lo compongono, in quale Paese operano i fornitori. Spesso il tema della sostenibilità si sovrappone al concetto di tutela dell’ambiente, in termini di attenzione alla rinnovabilità delle risorse impiegate (sia energetiche che materiali), che di bassi livelli di inquinanti rilasciati dai processi produttivi o potenzialmente presenti nelle materie prime.
Altro quesito in crescita è il reale costo ambientale del prodotto: il consumatore è interessato a quanto il prodotto cosmetico impatti (in termini di carbon footprint, consumo d’acqua, ecc.) non solo durante le fasi produttive, ma anche nell’utilizzo e nel post vita. Da qui, da parte di un pubblico ad oggi in realtà ancora piuttosto elitario, l’attenzione, ad esempio, verso cosmetici di facile risciacquo, per ridurre i consumi idrici, o con packaging minimi e facilmente differenziabili e riciclabili o riutilizzabili, per minimizzare i rifiuti prodotti.
Infine, il consumatore è attento alla presenza di marchi e diciture per poter riconoscere facilmente prodotti provenienti da organizzazioni che si impegnano nella sostenibilità.
Quante e quali sono le principali certificazioni dei prodotti di cosmesi e detergenti che permettono al consumatore di orientarsi in un settore così vasto?
Sara Palombella: Le certificazioni per valorizzare le prestazioni sociali e ambientali sono numerose, si tratta di schemi che fanno riferimento a standard internazionali o privati che coprono i diversi aspetti della sostenibilità. QCertificazioni propone in questo ambito standard come Bio eco cosmesi Aiab e Detergenza pulita Aiab. Ci sono poi altri schemi proposti da Bureau Veritas che pur non essendo specifici per il settore della cosmesi possono essere ad esso applicati con successo: è il caso della Certificazione social footprint, della Certificazione carbon footprint, della Certificazione remade in Italy che può applicarsi agli imballaggi, solo per citare alcuni esempi.
La sostenibilità, se effettivamente attuata, ha dei costi affatto trascurabili. A quanto ammontano i costi di riconversione di questo tipo di impianti in esercizio e di quelli in fase di progettazione?
Cristiana Guerranti: Fortunatamente sono sempre più numerose le aziende che hanno capito che la sostenibilità è un investimento e non un costo. Investire in soluzioni tecniche che rendano effettivamente possibile il risparmio energetico si ripaga evidentemente nel tempo, così come investimenti nei processi produttivi che mirino al riutilizzo di materiali, in una logica di economia circolare.
Più in generale, gli investimenti nel monitoraggio sulla compliance in relazione a normative ambientali, di sicurezza sul lavoro, sui diritti dei lavoratori mitiga il rischio di sanzioni oltre al rischio reputazionale, di impatto ben maggiore.
Quanto investe il settore della cosmesi in innovazione, ricerca e sviluppo e quanto inquina in termini di emissioni, consumo di acqua e produzione di rifiuti, soprattutto derivanti da packaging accattivanti?
Cristiana Guerranti: L’investimento nella ricerca di nuove tecnologie e processi produttivi a basso consumo di acqua e basse emissioni è sempre più importante e si affianca a quello sull’efficacia dei prodotti. Questo per ottimizzare e migliorare le performance ambientali del settore produttivo, comunque impattante, se non altro per il volume crescente di cosmetici prodotti ed utilizzati.
In termini di emissioni, ogni giorno vengono utilizzate enormi quantità di cosmetici e una quantità significativa di questi prodotti risciacquati finisce nelle acque reflue domestiche e successivamente nell’ambiente acquatico. Infatti, solo alcune componenti di questi prodotti e in percentuale limitata sono trattenuti a livello dei depuratori.
La persistenza, la tossicità ambientale e il potenziale di bio-accumulo di molte componenti dei cosmetici hanno un effetto negativo sugli ecosistemi. Le micro-plastiche utilizzate nei cosmetici, ad esempio, sono tra questi inquinanti e sono considerate un problema emergente.
Per il confezionamento di prodotti cosmetici, le industrie prediligono ancora contenitori di plastica, per il basso costo e l’alta resistenza e versatilità di questi materiali. A causa della complessità delle raccolte post-uso dei contenitori in plastica smaltiti e della presenza di residui di prodotti cosmetici oleosi adesi alla superficie interna di questi contenitori, il riciclaggio degli imballaggi in plastica viene applicato in parte. Pertanto, i rischi ambientali correlati ai cosmetici, soprattutto per quanto riguarda ingredienti critici e imballaggi in plastica, provocano una crescente preoccupazione e di conseguenza attenzione a livello di investimenti in ricerca.
Qual è il valore aggiunto derivante dalla partnership tra Bureau Veritas Italia e il Polo della Cosmesi?
Sara Palombella: Sicuramente la capacità di intercettare al meglio le esigenze del settore della cosmesi e offrire soluzioni mirate, customizzate, quali webinar di informazione/formazione, servizi connessi alla certificazione e disciplinari tecnici di settore, anche partendo dalle tematiche di sostenibilità sulle quali si concentrano molte aspettative delle aziende. Bureau Veritas rappresenta un interlocutore privilegiato in un mondo, quello della verifica e certificazione, non sempre percepito come un partner.
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