Acque reflue i costi vanno dalla tariffa agli agricoltori

Il richiamo di ANBI

“La bozza di Decreto del Presidente della Repubblica sul Regolamento per il riutilizzo delle acque reflue affinate, predisposta dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, introduce elementi ostativi all’uso da parte dei Consorzi di bonifica”. E’ quanto dichiara il presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue, ANBI, Francesco Vincenzi, in una nota.

Al centro della discussione la versione del D.P.R., uscita dalla consultazione pubblica ora in attesa di approvazione definitiva. Alcuni elementi possono portare un aggravio economico ai comparti agricoli e alla gestione dei territori, operata dai Consorzi di bonifica, “nonchè una possibile causa di scontro con i gestori degli impianti di trattamento e con il Servizio Idrico Integrato. Per questo, ANBI chiede che il Ministro, Pichetto Fratin, apra urgentemente un’ulteriore fase di concertazione, coinvolgendo non solo gli enti regolatori (Arera), istituti ed istituzioni governative, ma anche i principali portatori di interesse, gli enti intermedi ed il mondo produttivo” rimarca Vincenzi.

L’associazione ha fatto sentire la sua voce anche sui piani europei con Irrigants d’Europe, e ora intende agire attraverso l’unione di rappresentanza agricola COPA-COGECA.

La criticità maggiore del DPR

Al centro della tensione la voce che prevede nel Dpr come “l’acqua affinata per uso irriguo è conferita dal gestore dell’impianto di depurazione al gestore della distribuzione irrigua senza oneri aggiuntivi a carico di quest’ultimo, a meno che non siano necessari ulteriori costi di trattamento ed investimento” chiarisce la nota dell’associazione.

Tale proposta considera “de facto” già  idonee al riuso le acque attualmente trattate in contrasto con quanto prevede il Regolamento Europeo sulle acque reflue che richiede come queste “debbano essere adeguate a garantire le caratteristiche qualitative necessarie all’utilizzatore fin dalla fine del processo di depurazione”.

azione a cui può sopperire quanto previsto dalla Direttiva sul trattamento delle acque urbane, licenziata il 16 Ottobre scorso dal Consiglio Europeo con obbligo d’adeguamento entro il 2035. Quindi gli extra costi pcosì previsti andrebbero direttamente sugli utenti agricoli con inevitabili riflessi distorsivi sulla competitività di mercato e sulla permanenza di imprese rurali in aree idricamente svantaggiate.

“A fronte di un aggravio finanziario ed alla parallela necessità di disporre di un adeguato approvvigionamento idrico, l’equilibrio possa essere trovato nel minimizzare la richiesta qualitativa della risorsa da parte del comparto produttivo primario, sfruttando al massimo le tolleranze e le incertezze in merito ai fattori di rischio” chiarisce Massimo Gargano, direttore generale di ANBI. “L’impatto potrebbe essere molto negativo specie per quei settori caratterizzati dal rapido trasporto dei contaminanti lungo la catena alimentare, quali le carni ed i latticini.”  

I Consorzi di bonifica saranno inoltre gravati dall’obbligo di trasmissione dei dati alle autorità regionali e/o ad altre autorità competenti nazionali ed europee, nonchè della segnalazione di non conformità rispetto ai parametri definiti nel permesso di riutilizzo.

In aggiunta alle proposte nella Direttiva Quadro Acque vorrebbero porre il riuso delle risorse idriche tra i compiti esclusivi del Servizio Idrico Integrato, confondendo la produzione delle acque affinate con la loro distribuzione in ambito agricolo, competenza in capo ai Consorzi di bonifica.

Ulteriore tema sul tappeto è l’apporto di nutrienti come l’azoto, presente nelle acque reflue: l’impatto sarebbe rilevante soprattutto sui settori già gravati da obblighi di gestione del contenuto di azotati nei liquami di stalla o nei fertilizzanti organici destinati alla concimazione.


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