Solo se supportata adeguatamente, la filiera italiana dell’idrogeno potrà crescere rapidamente e incidere sulla competitività delle maglie industriali italiane. In estrema sintesi, è il messaggio chiave che l’Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile H2IT ha inviato durante l’audizione sulla proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza alla commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati.
H2IT ha quasi triplicato il numero di soci dal 2019 ad oggi, superando quota 70. La sua incisività nel panorama industriale e istituzionale italiano è esponenzialmente cresciuta, grazie anche al favorevole contesto normativo europeo. Le sue idee sono chiare: ha invocato un piano strategico chiaro, di ampio respiro e che non subisca battute d’arresto o inversioni di marcia. Nel documento “Strumenti di supporto al settore idrogeno. Priorità per lo sviluppo della filiera idrogeno in Italia”, redatto gli scorsi mesi coinvolgendo 70 tra aziende e istituzioni, ha “identificato 55 barriere di tipo legislativo, regolatorio, economico e industriale su cui intervenire e oltre 60 azioni di policy necessarie alla crescita dell’idrogeno in Italia. In termini generali, H2IT ha identificato priorità d’azione e modalità d’intervento”, spiega a Canale Energia il vicepresidente e e presidente del comitato scientifico Luigi Crema.
Progetti pilota
Per partire subito con lo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde, H2IT suggerisce di “stimolare la partenza di progetti pilota, anche con il patrocinio delle amministrazioni competenti. Sarebbe utile avviare progetti pilota nei settori che vedranno un mercato anche nel medio lungo periodo come, ad esempio, in ambito residenziale. Le sperimentazioni possono rappresentare un punto di inizio per il settore oltre che per le istituzioni, a tutti i livelli. Queste ultime possono così beneficiare di suggerimenti utili a capire come intervenire e con quali supporti, ad esempio di natura economica o incentivante”.
Blending e normativa europea
Seguire i dettami posti dal quadro normativo europeo non è cosa semplice. “In merito al blending in accordo con la posizione dei principali operatori, delinea due fasi: la prima, con una soglia massima del 20% di idrogeno miscelato al metano. Nella seconda il raggiungimento dell’idrogeno puro. Nella fase iniziale bisogna tenere conto delle peculiarità e del grado di compatibilità delle reti di ciascun Paese”, specifica Crema.
“I risultati finora ottenuti da Snam identificano elementi di contabilità in blending fino al 10% nell’infrastruttura attuale. Il salto al 20% non è scontato, non è detto che la rete sia compatibile e potrebbero servire alcuni adeguamenti tecnologici, in funzione dei casi specifici”.
È da precisare, evidenzia Crema, “che queste percentuali si riferiscono alla rete gas in generale. Se consideriamo l’infrastruttura che alimenta unicamente un sito industriale, ad esempio un’acciaieria, si può arrivare a un blend del 30% e oltre, fino ad utilizzi di idrogeno puro”.
Nella seconda metà di quest’anno è attesa la pubblicazione di una comunicazione operativa sull’implementazione della direttiva europea Red II. Secondo Crema “potrebbe introdurre per i paesi membri alcuni obblighi circa il maggior utilizzo di gas verde, ad esempio nell’industria o nei trasporti. Questo spingerà i singoli stati a identificare e tracciare le traiettorie per la crescita dell’idrogeno verde”.
Combinazione di soluzioni incentivanti
Sul tema della combinazione di soluzioni incentivanti, proposta anche da Confindustria nel documento presentato pochi giorni fa, il vicepresidente di H2IT vuole fare chiarezza: “In ambito industriale l’idrogeno prodotto da rinnovabili potrebbe beneficiare di vari schemi incentivanti, alcuni ad esempio associati ai benefici di incentivazione dati alle fonti rinnovabili. Alcuni paesi europei hanno guardato alle novità introdotte con la Red II: introdurranno le garanzie di origine e, ancor prima, costruiranno schemi di supporto calati su singoli progetti. La Germania ha adottato lo strumento dei carbon credits for difference, che garantisce una premialità aggiuntiva a quella prevista a seguito della riduzione delle emissioni carboniche”.
Oltre l’ambito industriale, guardando ai meccanismi di supporto esistenti per la produzione di biometano, “potrebbe essere associato un benefit aggiuntivo all’idrogeno alla cattura della CO2, che permetterebbe di ottenere quote di emissioni negative”.
La nuvola del green washing
Crema, poi, è sicuro che lo sviluppo del vettore non alimenti pratiche di green washing. “Nel momento in cui si delinea una transizione di portata epocale è chiaro che ci saranno una serie di conflitti tra attività imprenditoriali di varia natura. Ad esempio, tra chi fa idrogeno blu e chi verde. Dal mio punto di vista, questi attriti sono fisiologici. Spetta, però, alla politica identificare la traiettoria corretta e aiutare lo sviluppo del mercato per sviluppare un solido sistema energetico, dando spazio al ventaglio di tecnologie esistenti e non focalizzandosi unicamente su elementi puntuali di vantaggi o svantaggi che tutte le soluzioni presentano, compreso l’idrogeno”.
Snellimento burocratico
Infine, rimarcando quanto più volte detto dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sull’urgenza di snellire l’affastellamento burocratico per l’installazione di nuova potenza da rinnovabili, il vicepresidente di H2IT ha detto: “In riferimento a quanto affermato dal capo di dicastero in merito alla difficoltà di mantenere gli impegni di installazione di impianti eolici e fotovoltaici, ritengo che sia compito delle autorità pubbliche centrali o locali a dover individuare, con apposita analisi, i luoghi più idonei all’installazione di nuova potenza rinnovabile per indire bandi in condizioni di autorizzazioni e tempi di attuazione certi, e attirare nuovi investitori. Questa prospettiva ribalta l’approccio attuale. Se non incrementiamo la produzione da fonti rinnovabili non raggiungeremo i target previsti per l’idrogeno verde”.
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