L’ecosistema europeo dell’industria delle batterie vuole diventare un cavallo di razza. Riuscire a progettare l’accumulatore del futuro sostenibile, economico, riciclabile e intelligente gli consentirà di correre veloce quanto il principale produttore mondiale di batterie: la Cina. Per riuscirci promuove il progetto Battery 2030+ che, partito il 1° marzo, si prefissa, in un anno, di gettare le basi per un’iniziativa decennale di ricerca.
Tra i 17 partner aderenti unico italiano è il Politecnico di Torino. Canale Energia intervista Silvia Bodoardo che coordina il progetto per l’Italia e insegna nel Dipartimento di Scienza applicata e tecnologia (Disat).
Perchè nasce il progetto Battery 2030+? È allineato ai target su ambiente ed energia fissati dall’Ue?
La Commissione europea sta spingendo la ricerca sulle batterie attraverso alcune call dedicate e questa flagship alliance, con kick off previsto per fine mese. Nel primo anno di lavori la Coordination supporting action del progetto Battery 2030+, che guarda ai dispositivi di accumulo adottati dopo il 2030, supporterà la nascita della flagship che in 10 anni di ricerca avrà il compito, a sua volta, di supportare la roadmap pensata dalla Comunità europea sulle batterie. Il progetto Battery 2030+ è ricerca pura. Per la commerciliazzazione dei dispositivi di accumulo bisognerà passare per la piattaforma europea per la tecnologia e l’innovazione sulle batterie Etip, oggi in partenza.
Non si può usare la tecnologia esistente e superare i colossi cinesi, che vendono a basso costo. Bisogna realizzare qualcosa che loro non fanno evitando di diventare dipendenti dalle realtà extra europee. L’idea è quella di avere una batteria sostenibile, il cui bilancio ambientale complessivo non sia negativo, sia completamente riciclabile e non impieghi materiali critici: tossici, poco abbondanti in natura se non assenti in Europa.
Qual è l’esigenza dell’industria europea?
Il progetto ha un’anima industriale. La European battery alliance è l’associazione di scopo voluta dai principali industriali del settore: dai produttori di materiali a quelli delle celle fino agli end user, i produttori automobilistici, le utility e l’industria del riciclo. L’obiettivo è costruire una giga fattory europea. Per farlo l’alleanza deve partire da un Trl basso (Technology readiness level, che sta per Livello di maturità tecnologica ndr) e fare ricerca per riuscire a sviluppare batterie innovative e portarle verso la produzione. Oggi il 95% dei dispositivi di accumulo è prodotto in Cina, una scarsissima percentuale in Corea, Giappone e Stati Uniti. I produttori europei vogliono colmare questo gap.
Come dovrà essere la “batteria del futuro”?
Questi sistemi di accumulo dovranno essere producibili, cioè realizzabili, e saranno lanciate delle call per far sì che siano smart. Una call sarà legata alla modellazione per realizzare una big map, un sistema di modellazione che servirà ad accelerare l’applicazione di materiali nuovi riducendo le prove in laboratorio. L’idea è di avere batterie intelligenti in cui la sensoristica installata nella cella possa dare informazioni accurate sullo stato di salute e di carica. Oggi abbiamo delle informazioni più approssimative fornite dalle termo-coppie fuori dalle celle che offrono la misura media della temperatura. O ancora vogliamo sviluppare elettrodi che si autoriparano, anche tramite sensori, e che possono allungare la vita delle batterie. La letteratura al riguardo c’è già.
Punto di partenza del progetto?
Sicuramente dobbiamo eliminare il cobalto e per farlo non ci baseremo su un’unica chimica. Uscendo dall’ambito d’azione della flagship, molto lavoro si sta facendo sullo zolfo. L’idea è di sottrarlo dai carburanti (l’Imo ha fissato un tetto per l’impiego dal 1° gennaio 2020 ndr) e usarlo nei dispositivi di accumulo dove non brucerebbe, non andrebbe in atmosfera, ma resterebbe nei cicli di carica e scarica. I produttori di carburanti possono smaltirlo così.
La parte politica deve supportare l’industria del riciclo con una normativa dedicata. Si potrebbe, ad esempio, aggiungere anche solo 2 euro al costo della batteria per destinarli al recupero e corretto avvio al riciclo.
Il vecchio continente manca di materie prime. Come riuscirete a far partire l’industria del riciclo?
L’Europa delle batterie ha diversi punti di forza, ma è carente nell’impiego di materiali innovativi e nel riciclo. Se pensiamo al riuso bisogna rispettare alcuni criteri a seconda dell’ambito d’applicazione: per l’automotive devo avere celle leggere, di ridotte dimensioni e performanti; nello stazionario ho meno problemi di volume. L’altro aspetto a cui stiamo lavorando è il recupero di materie impiegate nelle celle. Oggi i materiali sono critici: tossici o poco disponibili in natura e si riciclano solo gli elementi di alto valore aggiunto presenti negli elettrodi, quali cobalto e nichel. Il costo affrontato per il recupero oggi il costo non equipara il vantaggio che ne deriva. Vogliamo ridurre i costi del riciclaggio così da renderlo più vantaggioso.
Machine learning e intelligenza artificiale: come si inseriscono in questo lavoro?
Il machine learning è fondamentale innanzitutto per acquisire tutti i dati possibili: sotto il cappello dei big data ci sono i bad data, importanti quanto quelli buoni, se non di più, perché aiutano a pensare a nuovi materiali. Il sistema robotizzato è poi utile a ridurre le prove in laboratorio. Battery 2030+ ha Trl molto basso, è ricerca pura, potrà aiutare a capire cosa succede durante le reazioni.
Non rischiano di creare delle perdite in termini di posti di lavoro?
Un aspetto importante è quello della formazione. Dovremo avere nuove figure specializzate e nuove occupazioni. Perché gli ingegneri siano pronti promuoviamo, su richiesta delle aziende, dei master per formarli sull’elettrificazione. Inoltre, ci vanno nuove professioni che siano in grado di gestire veicoli nuovi e nuove forme di produzione energetica delocalizzata.
Gli attori aderenti a Battery 2030+: cinque università – Università di Uppsala, Politecnico di Torino, Università tecnica di Danimarca, Vrije Universiteit Brussel, Università di Münster – e otto centri di ricerca – Energie alternative francesi e Commissione per l’energia atomica, Karlsruhe Institute of Technology, Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, Forschungszentrum Jülich, Fraunhofer-Gesellschaft, Fundacion Cidetec, Istituto nazionale di chimica, Slovenia, SINTEF AS – e tre associazioni guidate dall’industria – EMIRI, EASE, RECHARGE – e una società, Absiskey.
Il consorzio ha ricevuto il sostegno di organizzazioni europee e nazionali, tra cui: ALISTORE ERI, EERA, EIT InnoEnergy, EIT RawMaterials, EARPA, EUROBAT, EGVI, CLEPA, EUCAR, KLIB, RS2E, Swedish Electromobility Centre, PolStorEn , ENEA, CIC energigune, IMEC e Tyndall National Institute.
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