Le Comunità energetiche rinnovabili (CER) sono un modello pensato dalla U.E. (a livello nazionale è stata recepita la direttiva RED II e sono in fase di emanazione i decreti attuativi) per incentivare la produzione e il consumo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili all’interno di un sistema “locale”. In questo caso l’accezione assume una dimensione territoriale, nello specifico quelle porzioni di territorio che sono riconducibili alle cabine primarie dell’ENEL.
La complessità di governo di una CER è insista nella moltitudine di attori che possono essere coinvolti, per i loro diversi profili e per i ruoli che possono assumere al suo interno. Chiunque aderisca può scegliere se posizionarsi come consumer (acquisto l’energia) o prosumer (produco e consumo l’energia).
La partecipazione è quindi prevista, auspicata, come semplice costruzione di una coalizione di utenti che si formalizza all’interno di un soggetto normativamente certo.
Il ruolo della facilitazione nella realizzazione delle CER
Proviamo ad immaginare il caso di un Comune che voglia attivare una CER e che decida di inserire tra il panel di esperti anche una competenza di FacilitAmbiente, che è un progetto di Camera Arbitrale di Milano e Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.
La facilitazione dovrà essere in grado di allestire dei percorsi di informazione e sensibilizzazione sulle condizioni entro cui si inscrive l’esperienza; si tratta di ampliare la platea degli interlocutori e aiutare ad avvicinare linguaggi diversi (esperti, operatori economici, cittadini). Si potrebbe avere a che fare con il problema di gestire un confronto aperto e trasparente su temi scientifici (da quali sono le energie che riconosciamo come rinnovabili a se è accettabile che la necessità di trasmissione di dati implichi ad un certo punto la necessità di immissione della CER nella rete 5G)
Dalla fase dell’ingaggio bisogna uscire con soggetti interessati a investire in nuova potenza rinnovabile (nei nostri contesti sostanzialmente fotovoltaica, in parte minore eolica) e a farlo in modo che ve ne sia una quota in surplus rispetto alle esigenze così da poterne scambiare una parte. Bisogna quindi identificare strumenti in grado di convincere della bontà del progetto soggetti che abbiano risorse e superfici coperte sufficientemente ampie in grado di ospitare gli impianti da aggiungere a quello dell’ente comunale.
Un’ulteriore parte dell’attività potrebbe, che come ben si capisce in base alla tipologia di impianti lavora soprattutto durante il giorno, essere quella di valutare i pro e contro di investire su apparati che semplifichino i comportamenti individuali; ad esempio con la domotica il singolo può usare gli elettrodomestici in momenti ottimali al consumo di energia in surplus e non in base alle sue abitudini. Ma anche su come ampliare le capacità di riduzione dei consumi. O come organizzare l’accumulo.
Una volta raccolti gli aderenti il percorso dovrà favorire la verifica del modello gestionale più coerente (dalla cooperativa sociale all’associazione). Il gestore della CER, lo strumento di suo governo, è lo spazio entro cui i protagonisti fissano le regole economiche sullo scambio di energia tra soci.
Organizzare un percorso di attivazione della comunità non ha a che fare solo con aspetti ambientali ma anche sociali. In questo ambito è importante tenere a mente la ricerca del coinvolgimento di figure svantaggiate che hanno necessità di trovare delle opportunità di inclusione e/o di realtà del territorio che possano sviluppare nuove competenze e tecnologie in grado di regolare automaticamente lo scambio di energia.
Il ruolo delle comunità per sconfiggere la povertà energetica
Le CER hanno sullo sfondo anche il tema della povertà energetica, cioè la possibilità di usare il modello per dare stabilità ai prezzi di acquisto soprattutto per chi svantaggiato economicamente; l’identificazione e l’organizzazione del coinvolgimento di questi soggetti è uno sforzo per coniugare gli aspetti sociali con quelli ambientali.
Sempre nell’ottica del coinvolgimento del territorio la nascita di una CER potrebbe avere più successo se alle diverse competenze (progettisti, installatori, manutentori, ecc) venga riservato una parte del coinvolgimento così da favorire la loro cooperazione in uno spirito di economia locale e circolare.
Stante la sperimentalità del percorso di coinvolgimento una parte che andrebbe allestita è quella della rendicontazione e monitoraggio, così da mettere in grado altri soggetti di aderire in una fase successiva alla CER o di attivarne un’altra (rif. Limite 200kwh).
Il percorso di interazione
Se infine usciamo per un attimo da una narrazione tutta positiva (le CER come soluzione win win ad un annoso problema) e ci caliamo nel contesto italiano (uso distorto incentivi, devastazione di paesaggi, alterazione di economie storiche, da parte delle ecomafie), si può prevedere che l’organizzazione di un percorso di interazione della comunità possa prevedere una fase a monte. Ipotizziamo necessario sempre, in avvio di una CER Un confronto con il territorio in cui ci sia l’emersione, la condivisione e il riconoscimento dei valori territoriali imprescindibili (paesaggio, patrimonio immateriale, etc) intorno a cui queste operazioni possano svilupparsi. Molte risorse del PNRR saranno dirottate su questa misura, molti appetiti saranno stimolati, e solo una profonda comprensione del territorio del concetto di auto sostenibilità potrà far valere l’idea che la produzione di energia sia solo uno degli aspetti che contribuiscono a modellare lo spazio della comunità prossima ventura.
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