Slow food travel promuove incontri e scambi con agricoltori, casari, pastori, norcini, fornai, viticoltori, e i cuochi che preparano i piatti con i loro prodotti, per raccontare in prima persona ai viaggiatori le tradizioni locali per preservarne la memoria e il grande valore culturale.
Uno degli obiettivi principali è la conservazione della biodiversità alimentare. A spiegare l’importanza di modelli sostenibili di turismo enogastronomico è Michele Rumiz, direttore di Slow food travel nel corso del web in air intitolato “Call to action: riqualificare e promuovere le destinazioni turistiche investendo su sostenibilità e biodiversità”, che si è svolto il 28 gennaio nel corso di Geco, la prima Fiera virtuale sulla sostenibilità.
Sostenibilità che, come spiega Rumiz, si traduce anche in un senso di appartenenza espresso dalle comunità locali, misurabile nella risposta delle persone del territorio nel processo enogastronomico e turistico. “Purtroppo in molte destinazioni non è così”. “In Italia – racconta Rumiz – c’è un mosaico ricco di culture locali che hanno spesso gli strumenti adatti per contrastare il cambiamento climatico”. Questo è l’unico modo, sottolinea il direttore di Slow food travel, per offrire un prodotto unico, di qualità e che si sottrae alla logica della competizione basata sul prezzo.
“Se coltivo un tipo di mais su scala industriale che io poi lo coltivi in Francia o in Italia non cambia nulla. Il prezzo è quello. Se, invece, inizio a coltivare una diversa varietà di mais a livello locale e con quella varietà realizzo dei prodotti gastronomici caratteristici è possibile puntare su un prezzo giusto che valorizzi ciò che c’è dietro”.
Il progetto di Slow food travel
Non si tratta “di pacchetti viaggio”, sottolinea Rumiz, “è un progetto di destination development che noi offriamo per sviluppare le potenzialità delle destinazioni enogastronomiche”. Il progetto si basa su due pilastri. Il primo premettere alle strutture ricettive e ristorative di offrire quanto più possibile i prodotti del territorio e soprattutto quelli che non siano replicabili.
“Ma non basta inserirli nei menù, è necessario dargli anche visibilità. Che ci sia un numero di telefono che permetta al consumatore di andare a compare quel prodotto o fare visita a un’azienda o perché no fare una esperienza”.
Il secondo pilastro. Aiutare soprattutto i piccoli produttori artigiani di cibo e in alcuni casi anche i ristoratori e albergatori a volgere lo sguardo a esperienze gastronomiche sempre e solo di alta qualità. “Ed è questa forse la sfida più difficile perché spesso sono proprio i produttori locali che danno per scontato la ricchezza che possiedono”, spiega Rumiz.
“Abbiamo al momento cinque destinazioni, due in Svizzera due in Piemonte e uno in Austria e stiamo lavorando ad altre destinazioni che nasceranno quest’anno in Azerbaijan, Ecuador, Filippine. Oltre a sei itinerari in sei regioni d’Italia”.
Quando nasce Slow food travel
Slow food travel è nata nel 2015 in Austria. “Ed è proprio qui, spiega Rumiz, che abbiamo anche un po’ di dati certi sul lavoro fatto per recuperare la filiera del pane nella Carinzia. Il pane era un prodotto tipico locale che non si produceva più. Non c’erano farine locali né mulini né lieviti a pasta madre ma si utilizzavano solo prodotti industriali. Il risultato è stato ottimo. Nel 2020 la regione ha registrato un più 30% di presenze tra la primavera ed l’estate che per il 2020 è un risultato molto importante”.
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