Costi sanitari e alti consumi energetici sono un problema sempre più frequente nei paesi europei. Anziani, disoccupati e minorenni, questo l’identikit del povero energetico che tocca diverse fasce della popolazione in Italia e in Europa. Un contesto in cui gli stakeholder possono fare molto sia per divulgare buone pratiche per la riduzione degli sprechi che per diffondere gli strumenti a sostegno di chi si trova in questa situazione. Come tutti i nuovi pericoli, anche la povertà energetica va conosciuta per comprendere come arginarla. Non a caso l’Unione Europea, oltre a finanziare progetti di ricerca, ha deciso di mettere in rete le esperienze dei diversi Paesi promuovendo “L’Osservatorio per la povertà energetica”, attivo dal gennaio 2018. L’iniziativa intende individuare e catalogare gli aspetti tipici del fenomeno. Ma quali azioni sono state messe a segno fin’ora? Lo abbiamo chiesto all‘europarlamentare Dario Tamburrano che ha seguito gli emendamenti della minoranza sul tema in Ue. Canale Energia ne ha parlato il 6 maezo scorso durante l’evento “Luce sulla Povertà Energetica”, presso la Camera dei deputati a Roma.

La povertà energetica è un fenomeno in crescita nei paesi dell’Unione europea tanto da diventare un punto di discussione nella agenda dei lavori. Come la sta affrontando l’Europa?
L’Europa ha affrontato la questione sotto punti di vista diversi nel pacchetto energia con alcune innovazioni da me proposte e sostenute con forza durante tutta la legislatura, come l’introduzione della figura dei prosumer, lo sviluppo delle comunità energetiche e indicazioni sull’efficienza energetica negli edifici, ma anche con parecchi limiti. E’una innovazione positiva che il fenomeno della povertà energetica sia stato inserito all’interno del nuovo regolamento sulla governance dell’energia, nello stesso tempo siamo di fronte, a mio parere, a un grave limite nel momento che ne affida la soluzione ai meccanismi di mercato (mercato che è uno dei cinque pilasti del regolamento). Anche in quest’ambito, per far prendere in considerazione le questioni sociali all’interno della legislazione europea e, specialmente per quanto riguarda il regolamento della governance, ho proposto, con oltre 100 emendamenti, l’introduzione del sesto pilastro “la dimensione sociale all’energia” per il quale gli Stati UE sarebbero stati tenuti a fissare obiettivi nazionali vincolanti, da raggiungere entro il 2030, sui benefici sociali connessi all’energia nel campo di:

  • la riduzione della povertà energetica;
  • l’aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili attraverso le collettività dell’energia, gli autoconsumatori, e l’autoproduzione da imprese, municipalità etc;
  • la diminuzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2 conseguente all’efficienza comportamentale;
  • la diminuzione degli impatti sanitari (compresi gli aspetti economici) legati alle minori emissioni di inquinanti in atmosfera ottenute grazie alla diffusione delle fonti rinnovabili e agli interventi di efficientamento energetico;
  • la diminuzione della quota di reddito pro-capite destinato agli usi energetici;
  • l’aumento della quota di reddito pro-capite derivato dall’autoproduzione energetica.

Parallelamente, sono intervenuto per rafforzare queste dimensioni negli altri pilastri dell’unione dell’energia quando, seppure presenti, ho ritenuto che lo fossero in maniera troppo timida o troppo poco ambiziosa. Abbiamo pertanto chiesto, insieme ai colleghi di altri gruppi che gli Stati garantissero il diritto dei cittadini all’energia, indispensabile per una vita dignitosa e limitassero al massimo il rincaro dei prezzi con particolare attenzione alle famiglie disagiate, evitando che eventuali incentivi di carattere fiscale o di altra natura per lo sviluppo dell’efficienza energetica e/o rinnovabili potessero avere delle barriere d’accesso legate al reddito e/o a condizioni di svantaggio. Il tutto in una chiara logica politica: quella di avvicinare le istituzioni europee ai bisogni reali dei cittadini, specialmente di quelli più deboli, aspetto che a Bruxelles è spesso molto, ma molto carente,  a favore tuttora degli eccessi di tecnicismo tuttora ispirati dal dogma del libero mercato che permea buona parte della legislazione UE, anche in ambito energetico.

Su questo tema. Cosa è stato fatto finora e cosa si può fare ancora?
Posso dire ciò che abbiamo ottenuto. Ora il regolamento prevede che gli stati membri valutino il numero di famiglie in condizioni di povertà energetica, tenendo conto dei servizi energetici domestici necessari per garantire un tenore di vita di base nel rispettivo contesto nazionale, della politica sociale esistente e delle altre politiche pertinenti, nonché degli orientamenti indicativi della Commissione sui relativi indicatori di povertà energetica (compresa la dispersione geografica). Qualora sulla base di dati verificabili uno Stato membro riscontri la presenza di un numero elevato di famiglie in condizioni di povertà energetica, esso deve includere nel suo piano un obiettivo indicativo nazionale di riduzione del fenomeno, le eventuali politiche e misure per affrontarla, comprese azioni di politica sociale e altri programmi nazionali pertinenti. Chiaramente gli stati membri dovranno monitorare i progressi nel campo.

Considerato che i poveri energetici racchiudono dei target variegati, lei ritiene che la formula del bonus sia l’unica strada percorribile?
Assolutamente non può essere l’unica strada. L’autoproduzione energetica è un’altra via, parallela ai bonus, come del resto l’efficienza energetica, ma bisogna tenere conto d’altro canto che le famiglie in sofferenza non possono permettersi interventi tecnici per l’autoproduzione e l’efficienza energetica. E’ qui che deve intervenire la pubblica amministrazione attivando prestiti per gli interventi spalmati nel tempo. È questo quel che abbiamo richiesto: che gli Stati membri avviino azioni volte a promuovere l’autoconsumo presso i locatari e le famiglie in situazione di povertà, ad esempio mettendo a punto incentivi per facilitare l’accesso ai finanziamenti, a incoraggiare i promotori a realizzare progetti negli immobili di edilizia abitativa sociale e i proprietari degli immobili a creare opportunità di autoconsumo per i locatari. E abbiamo ottenuto parecchio. Ossia che gli stati membri dovranno specificatamente occuparsi:

  • dell’accessibilità dell’autoconsumo a tutti i consumatori finali, compresi quelli appartenenti a famiglie a basso reddito o vulnerabili,
  • degli ostacoli al finanziamento e di come facilitarne l’accesso;
  • degli ostacoli normativi per l’autoconsumo in quanto locatari e degli incentivi per i proprietari degli immobili.

Valutando il costo sanitario indotto da questa realtà è pensabile una valutazione costi benefici, in cui lo sgravio sanitario sia uno dei benefici e quindi anche risorsa cui attingere per contenere questa realtà?
Non solo questa logica è pensabile ma la ritengo essenziale pur considerando ovviamente che la vita umana e la salute non abbiano un prezzo che sia moralmente monetizzabile. Il problema è che all’interno delle dinamiche politico/amministrative questo tipo di conteggi dei costi benefici, che potremmo chiamare “trasversale”, non è proprio preso in considerazione. Pensiamo all’assenza di un’analisi simile su un campo “collaudato” come quello della qualità dell’aria nei centri urbani. Se si applicasse sul serio un’analisi in questo campo i provvedimenti potrebbero essere ben più incisivi. Per tornare all’energia, pensi che le rinnovabili oggi installate in Italia permettono in virtù della la mancata emissione di inquinanti (ed escludendo da questo conto la CO2), un risparmio sanitario compreso tra i 234 e i 672 milioni di euro l’anno (calcolo nostro su base dati ISPRA e studi UE, la forchetta dipende dal valore alla vita umana dato dall’OMS). E sulla povertà energetica i risparmi potrebbero essere consistenti, visto che la mancanza di sufficiente energia influisce sulla salubrità degli edifici e, quindi, su una serie di malattie connesse agli stili di vita. Si pensi a cosa succede sul fronte delle infezioni alimentari nel momento in cui non si ha l’elettricità per far funzionare il frigorifero domestico oppure a come può diventare un’abitazione in un clima umido senza riscaldamento.


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Giornalista, video maker, sviluppo format su più mezzi (se in contemporanea meglio). Si occupa di energia dal 2009, mantenendo sempre vivi i suoi interessi che navigano tra cinema, fotografia, marketing, viaggi e... buona cucina. Direttore di Canale Energia; e7, il settimanale di QE ed è il direttore editoriale del Gruppo Italia Energia dal 2014.