La vendita del fotovoltaico ad uso domestico con una modalità “porta a porta” può esporre il consumatore al rischio truffa. Tanti sono i casi – ha spiegato alla nostra testata il presidente di Federcontribuenti, Marco Paccagnella – di cittadini che si rivolgono all’associazione perché si ritrovano bollette raddoppiate e penali elevate per uscire dai contratti. Insieme al presidente Paccagnella abbiamo approfondito i principali rischi a cui il consumatore deve prestare attenzione nel momento in cui decide di valutare l’acquisto o il comodato d’uso di impianti fotovoltaici, ma anche le modalità più efficaci con cui uscire da un contratto di prestito al consumo giudicato “viziato”.
Procediamo con ordine. Quali elementi il cittadino deve prendere in considerazione quando stipula contratti per l’acquisto di impianti fotovoltaici?
Innanzitutto bisogna precisare che esistono diverse tipologie di contratto. Abbiamo la tipologia classica del contratto di vendita per uso domestico in cui c’è un call center che chiama la famiglia fissando un incontro e spiegando che verrà ad esempio dato in omaggio un set di lampadine a led per ascoltare un’offerta promozionale. Se si accetta, l’operatore telefonico dirà che bisogna inviare anche il tecnico per un sopralluogo e per i permessi del comune. Così si firma l’intervento tecnico e il contratto risulta automaticamente già firmato. In sostanza è un sistema per sottrarre una firma. I costi sono molto più alti: ad esempio, se il prezzo medio di un impianto fotovoltaico è 8-10 mila euro, con queste modalità di acquisto, arriva al doppio di questa cifra. Inoltre i prodotti sono spesso obsoleti e hanno uno scarso rendimento.
Se il cittadino chiede di pagare in contanti gli viene detto che non è possibile, perché tutta l’operazione è finanziata con un prestito al consumo. Ciò fa sì che i tassi arrivino addirittura al 10% per 20 anni. Si può arrivare a pagare in totale 4 volte di più rispetto al suo valore reale. Di solito, per indurlo a firmare, viene detto all’utente che ad esempio il finanziamento è legato all’assicurazione del prodotto.
E nel caso di concessione del diritto di superficie per impianti fotovoltaici in comodato d’uso?
Qui la situazione è ancora più complicata, perché non viene chiesto al cittadino di pagare l’impianto. In questo caso l’utente riconosce all’azienda in via esclusiva il diritto di superficie, incluso lo scambio sul posto dell’energia rimanendo vincolato per 20 anni. Le penalità per poter recedere dal contratto sono altissime nel caso in cui l’impianto non funzioni bene rispetto a quanto prospettato. Si tratta di vincoli su una proprietà privata e possono essere vessatori, è una questione su cui bisogna cominciare a far lavorare le procure perché siamo a conoscenza di situazioni disperate in tutta Italia.
Può darci qualche numero per avere un’idea delle dimensioni del fenomeno?
Siamo a conoscenza di circa un milione di impianti. Nello specifico quelli in comodato d’uso sono circa 150 mila. Sono strutture che si trovano soprattutto nella zona Centro-Nord del Paese.
In queste situazioni come funziona il meccanismo degli incentivi?
Gli incentivi vanno a chi fa l’investimento e, nel caso del comodato d’uso, all’azienda alla quale il cliente avrà ceduto la superficie perdendone ogni diritto. È un sistema usato per accaparrarsi i fondi europei per l’energia rinnovabile. Sarebbe necessario che le procure intervenissero.
Come si deve procedere in caso si decida di recedere da questi contratti?
Abbiamo visto diverse tipologie di contratti. Ogni azienda ha scritto i suoi contratti in modo abbastanza blindato. Ci sono molte clausole che sono vessatorie. In generale tutte quelle presenti nelle condizioni generali di vendita devono rispettare il codice civile vigente, mentre le clausole aggiunte si possono considerare nulle. Questa situazione rende nulla una clausola e rende nullo il tempo previsto per il recesso. In caso di clausole nulle riusciamo a fare qualcosa.
Nel caso in cui il contratto venga dichiarato nullo per vessatorietà, il denaro che il cliente ha pagato verrà restituito. Nel caso in cui il pagamento sia avvenuto tramite un finanziamento con credito al consumo di una banca, sarà la banca o la finanziaria che ha fatto l’erogazione a risponderne.
E l’azienda con cui si è firmato il contratto?
Vanno citate in giudizio entrambe: sia la banca sia l’azienda. Quel che accade è che di solito le società che fanno questo tipo di vendita sono delle semplici srl con capitale sociale al massimo di 10-20 mila euro. Si tratta quindi di realtà che non potrebbero risarcire nessuno in caso di condanna del tribunale. Per questo motivo se l’azienda che ha intascato il denaro per l’impianto non riesce a risarcire sarà la banca che ha finanziato a rispondere del risarcimento.
Quali consigli darebbe a chi volesse uscire da questo tipo di contratti?
Distinguiamo due diverse situazioni: chi sta pensando di fare un investimento di questo tipo e chi l’ha già fatto e ha avuto dei problemi. Chi sta valutando l’investimento deve prendere in considerazione in maniera puntuale i costi prendendo informazioni su più di un’azienda. Un’altra regola d’oro è quella di rivolgersi a grandi marchi operanti a livello mondiale. E’ poi opportuno valutare l’anno di fabbricazione dell’impianto che deve essere il più recente possibile e verificare di ottenere delle garanzie scritte in caso di problemi. Una volta che c’è la garanzia del prodotto è bene valutare anche i costi di installazione e di produzione dell’energia.
A chi ha già effettuato un acquisto e vuole uscire consigliamo di rivolgersi a un legale o a un esperto per valutare le condizioni del contratto.
E chi volesse uscire da un contratto di comodato d’uso?
Chi ha sottoscritto un contratto di comodato d’uso deve fare attenzione, perché per quanto riguarda l’aspetto legale è una situazione borderline. Anche in questo caso le clausole contenute in questi contratti vanno valutate bene da un esperto prima di intraprendere qualsiasi azione legale: iniziare una battaglia in tribunale senza possibilità di vincere è un ulteriore spreco di denaro per il cittadino.
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