l’analisi molecolare delle acque reflue si conferma uno strumento valido per individuare la presenza del Sars-Cov-2. Intervistato da Canale energia, Fabrizio Stefani, ricercatore Irsa-Cnr, spiega come questa tecnica rappresenta già oggi un alleato nella prevenzione e nel monitoraggio, da usare su un bacino servito da un impianto di depurazione. La ricerca prevede di individuare nelle acque reflue l’Rna del virus, l’acido ribonucleico, che è presente fino all’ingresso nei depuratori. “In linea generale, la presenza del materiale non implica l’infettività delle acque reflue”, precisa Stefani, “ma il rilevamento dell’Rna può fotografarne il trend prima che ci sia un’evidenza epidemiologica conclamata”.
Analisi acque reflue: early warning per il Sars-Cov-2
L’analisi delle acque reflue, se affinata, può quindi costituire un “early warning”, un allarme, e aiutare ad adottare misure specifiche per contenere il numero di contagi ed evitarne di nuovi in una determinata area. Dai primi studi, sembra che il virus sopravviva diversi giorni nelle acque reflue, soprattutto a temperature più basse. “Al momento la nostra ricerca si concentra sul territorio di Monza e Brianza, vogliamo mettere a punto un protocollo da estendere ad altri bacini italiani” in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità. A differenza dell’Istituto, concentrato sul monitoraggio della pandemia, l’Irsa-Cnr analizza molteplici fattori, come “la dispersione nelle acque superficiali e la potenziale infettività”.
Come funziona il prelievo e l’analisi dei campioni
“A livello nazionale gli impianti di depurazione si occupano settimanalmente di prelevare i campioni. Il prelievo è semplice: si può effettuare con bottiglie d’acqua ghiacciate così da evitare contaminazioni”, spiega Stefani. I campioni possono essere analizzati solo nei laboratori dotati “di competenze di biologia molecolare, per l’analisi dell’Rna, e di requisiti di sicurezza”. Chiaramente ci sono standard da rispettare per trattare un campione potenzialmente pericoloso. Alcuni impianti di depurazione stanno provando a internalizzare questo processo così da verificare anche il funzionamento dell’impianto.
“In retrospettiva, questo lavoro serve all’Iss per individuare nuovi virus e avere un quadro temporale più ampio. In prospettiva, invece, questo coronavirus rappresenta (purtroppo) un’opportunità unica per testare questo tipo di analisi”, aggiunge Stefani. Soprattutto per superare il limite del metodo molecolare: “Consente di trovare un virus che già si conosce”.
I risultati del lavoro di monitoraggio, condotto sui campioni prelevati anche durante l’estate, confortano. Presto ne saranno diffusi di nuovi. I ricercatori sono ora concentrati sul raffinamento della tecnica. “Vogliamo perfezionare il limite di detection, ossia il numero minimo di molecole di Rna che nel campione consentono di trovare il virus. Così da stanare anche la quantità minima di virus presente e limitare i falsi negativi”. Un’assonanza con i tamponi: stesso meccanismo.
L’analisi dei fanghi di depurazione
L’anticipo dell’evidenza dell’analisi molecolare rispetto a quella epidemiologica è conclamata non solo in Italia, ma in tutta l’Unione europea e negli Stati Uniti. Rappresenta un metodo di ricerca finora passato in sordina, cosa che non ne cancella l’efficacia. “La proporzionalità tra il trend epidemiologico e il trend di Rna nelle acque reflue è stato confermato”. Anzi, si sta già lavorando a tecniche alternative: “Stiamo vagliando l’ipotesi di usare altre matrici, tra cui il particolato sospeso contenuto nei fanghi di depurazione. È lì che sembra si trovi una maggior quantità di Sars-Cov-2, per via della ripartizione fisica legata alla struttura del virus. La membrana esterna favorisce il legame con il particolato fine, anche se poi occorre tenere conto della particolarità delle diverse condizioni, come il Ph”. Decisione che mostra l’importanza della flessibilità in questo tipo di indagini: “All’inizio il sedimento si eliminava perché dava fastidio durante l’analisi”.
Da precisa che il coronavirus sparisce quando le acque reflue sono depurate. “L’unico rischio potrebbe esserci in caso di rilascio delle acque per inefficienza dell’impianto, magari perché piccolo o perché si attivano gli scolmatori di troppo pieno dei depuratori”. Motivo in più per manutenere e garantire il corretto funzionamento dell’infrastruttura.
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