Il 2020 si apre con l’innalzamento dei parametri Isee per ricevere i bonus luce, acqua e gas. Un valore che estende, secondo l’Autorità, l’aiuto a 200mila nuove famiglie. Dal 2021 è in discussione la possibilità di accedere automaticamente ai fondi. In pratica le famiglie che rientrano nei parametri con la sola dichiarazione fiscale hanno diritto automaticamente a vedersi scalar in bolletta il bonus previsto per legge. Tutte misure lungamente richieste dalle associazioni dei consumatori e sollevate anche dall’Alleanza contro la povertà energetica. La proposta della Autorità per l’energia elettrica, il gas e sistema idrico è certamente un primo passo per sopperire a una problematica insidiosa e dilagante come la povertà energetica, ma non basta. Molti sono gli strumenti che si possono mettere in campo per rispondere a questa necessità, anche legislativi. Ne abbiamo parlato con due avvocati, Sarah Supino e Benedetta Voltaggio che hanno pubblicato un testo dal titolo: “La povertà energetica, strumenti per affrontare un problema sociale” edito da il Mulino. Entrambe sono specializzate in diritto tributario presso lo studio “Salvini e Soci – Studio Legale Tributario fondato da F. Gallo”, l’avvocato Supino è anche dottore di ricerca in Diritto e Impresa presso la LUISS Guido Carli. Vediamo con loro perché la povertà energetica dovrebbe diventare un elemento cardine del nostro welfare e quale ruolo potrebbero svolgere gli oneri generali in bolletta per riequilibrare i disagi delle famiglie coinvolte.
Secondo la vostra tesi, i bonus non sono la soluzione preferibile per combattere la Povertà energetica, come suggerite di agire? Possiamo cogliere dei suggerimenti da quanto accade in Europa?
Sarah Supino: Il sistema bonus non può assurgere a principale mezzo di contrasto alla povertà energetica (PE). L’automatismo risolve solo uno dei suoi problemi (il fatto che, per mancanza di informazione, solo 1/3 degli aventi diritto lo richiedeva espressamente), ma ne lascia irrisolti di altri; per esempio, nel sistema bonus la PE viene sovrapposta allo stato di disagio economico misurato dall’ISEE, sebbene sia certo che non vi è affatto coincidenza, in molti casi, tra “povero” e “povero di energia”
Ma il vero deficit dei bonus sta nel fatto che essi incidono a valle sul consumo in bolletta, intervenendo in riduzione del costo della spesa energetica, senza tuttavia sortire effetti in termini di riduzione dei consumi ma addirittura “disincentivando” il risparmio energetico.
Le esperienze degli altri Stati europei, in primis Francia e Inghilterra (con i programmi Habiter mieux della Francia e Warm Front Scheme, Decent Home Programme e Green Deal-Energy Company Obligation dall’Inghilterra), hanno dimostrato che le politiche che garantiscono i migliori risultati nella lotta alla PE sono quelle di efficienza energetica, in quanto agiscono a monte della problematica, attaccandone direttamente una delle maggiori cause, e cioè la cattiva qualità degli alloggi e degli impianti.
Nel vostro libro suggerite che la povertà energetica sia inserita come elemento chiave del nostro welfare, cosa comporterebbe come scelta e come si potrebbe agire?
Benedetta Voltaggio: L’idea di inserire l’energia al nostro welfare nasce dalla consapevolezza che non disporre di un quantitativo minimo di tale bene può condurre a una condizione di deprivazione, che mette a rischio alcuni diritti fondamentali per la persona umana, come la salute, la dignità e, nei casi più gravi, il diritto alla vita stessa. Si tratta di una scelta che è stata già fatta da alcuni Paesi, come il Belgio e la Francia, dove l’accesso all’energia è considerato un diritto fondamentale e che è stata caldeggiata in più occasioni in ambito internazionale. Basti pensare alla richiesta avanzata nel 2016 dal Parlamento Europeo rivolta agli Stati membri di concentrarsi “sull’idea che l’accesso all’energia a prezzi accessibili rappresenta un diritto sociale fondamentale”.
L’Italia è davvero lontana rispetto a un tale riconoscimento; per questo non stupisce che addirittura si rinvengano in giurisprudenza pronunce (come la sentenza n. 39887 del 4 settembre 2017 della Cassazione Penale) in cui l’energia è inquadrata come bene non indispensabile per l’uomo ed idoneo unicamente a procurare agi e opportunità.
Attribuire al bene energia un valore intrinseco suo proprio e non solo meramente funzionale all’incremento di produttività o di sviluppo, consentirebbe di entrare nell’ottica che esiste un vero e proprio “diritto all’energia”, che non solo deve essere garantito a tutti, ma che deve anche essere promosso attivamente dallo Stato.
Da ciò discenderebbero a cascata una serie di conseguenze, prima tra tutte la circostanza che la lotta alla PE non costituirebbe una mera scelta politica ma un vero e proprio obbligo di primaria importanza per tutti i Parlamenti e i Governi, proprio perché connesso alla tutela di un fondamentale diritto umano costituzionalmente tutelato.
Serve uno strumento ad hoc in legislatura per affrontare il tema? Quanto è importante trovare uno strumento di misura del fenomeno per poi contrastarlo?
Benedetta Voltaggio: Nonostante la PE non sia attualmente disciplinata in maniera organica nel panorama legislativo e regolamentare nazionale, il legislatore ha introdotto degli strumenti atomistici di contrasto al fenomeno, come i bonus. Alcuni di questi strumenti, come l’ecobonus, non sono direttamente rivolti a contrastare il problema della PE, essendo stati introdotti per il perseguimento di diverse finalità, ma nel tempo hanno assunto delle caratteristiche che li rendono fruibili anche da famiglie che risultano maggiormente vulnerabili.
Sono però ravvisabili alcune importanti lacune nel sistema normativo nazionale sul tema; la prima e più evidente è l’assenza di una definizione di PE e di un criterio di misurazione della stessa, entrambi solo teorizzati da alcuni ricercatori della Banca d’Italia, i cui studi sono stati positivamente accolti dalla Sen 2017. A tutt’oggi, tuttavia, la PE viene sovrapposta, nelle misure adottate, alla povertà generale oppure allo stato di disagio economico misurato dall’Isee.
La necessità di individuare una definizione normativa di PE e un criterio per la sua misurazione costituisce il punto di partenza per proseguire al meglio il percorso per contrastarla. Una volta definito e quantificato il fenomeno, sarà più agevole affrontare le altre numerose sfide connesse, come la rimeditazione della ripartizione delle competenze statali, regionali e delle autonomie locali, l’implementazione delle politiche di efficientamento energetico degli edifici abitati da soggetti in PE e soprattutto le politiche fiscali, anche valorizzando il ruolo delle imprese per le quali – è bene ricordarlo – il tema dell’accesso all’energia si presenta come espressione di solidarietà sociale, ma anche come opportunità di sviluppo e di investimento.
I poveri energetici sono anche coloro che consumano di più, sia per difficoltà nel sostituire gli apparecchi elettrici con nuovi più performanti, che per la manutenzione degli immobili. Di conseguenza pagano non solo prezzi energetici maggiori, ma anche maggiori oneri generali di sistema. Come si potrebbe agire in merito?
Sarah Supino: Come recenti studi dimostrano, per le famiglie in disagio economico la percentuale di spesa che è destinata all’acquisto di energia elettrica erode una quota maggiore del bilancio familiare rispetto a quanto avviene per quelle più agiate. Ciò in quanto, come intuibile, le famiglie meno benestanti sono anche quelle che abitano immobili energeticamente inefficienti.
Il già gravoso costo delle bollette energetiche (che in Italia è superiore alla media europea) è poi pesantemente influenzato dai “classici” tributi indiretti (Iva e accise) e dai cosidetti “oneri generali di sistema”, che hanno un peso in bolletta superiore al 20% del totale. Ora, poiché tali oneri sono parametrati ai consumi, ma i consumi sono inversamente proporzionali al benessere economico, ne consegue che i più poveri consumano più energia e pagano, più oneri di sistema. Si tratta di un vero e proprio effetto regressivo, che porta con sé importanti implicazioni di natura sociale, soprattutto ove si consideri che la domanda di energia ha un’elasticità bassissima, attesa la funzione essenziale di detto bene.
Questo tema dovrebbe essere tenuto in debita considerazione dal legislatore, anche alla luce del fatto che, come alcuni ritengono (commentiamo una recente sentenza tributaria sul tema), gli oneri generali di sistema potrebbero essere considerati vere e proprie imposte, realizzandosi l’effetto per cui le famiglie, soprattutto quelle che sostengono maggiori consumi, subiscono una maggiore “tassazione” implicita che sfugge alle statistiche di finanza pubblica.
Qual è la posizione europea sulla povertà energetica sia come mezzi per combatterla che come priorità in agenda? L’Italia come sta rispondendo a questa chiamata?
Sarah Supino: L’approccio dell’Unione Europea alla PE è molto cambiato nel tempo. Il primo e il secondo pacchetto energia nemmeno menzionavano il tema, forse perché espressione di un momento storico in cui l’Europa puntava alla costruzione del mercato unico interno senza però preoccuparsi delle sue ripercussioni sociali. Dal 2009 in poi, l’Unione è diventata più attenta ai diritti sociali e la PE è “comparsa” nel terzo pacchetto energia (ed è stata approfondita in numerosi atti successivi), che ha chiesto agli Stati di garantire a tutti l’accesso all’approvvigionamento energetico e di promuovere politiche per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che lo precludono.
Quanto ai mezzi per contrastare questo fenomeno, la Commissione ha espresso una chiara preferenza per gli interventi di welfare, con particolare riferimento alle misure volte all’efficientamento energetico degli edifici abitati da soggetti vulnerabili, rispetto agli interventi sui prezzi che invece possono creare distorsioni della concorrenza.
In linea con i descritti indirizzi europei, si è di recente attivata anche l’Italia, che per la prima volta ha espressamente menzionato la PE nella Sen 2017 e nel Pniec 2018. Gli sforzi compiuti nel Piano non sono però risultati sufficienti alla Commissione europea che, dopo averlo esaminato, ha chiesto all’Italia di migliorare proprio l’approccio al superamento della PE, includendo obiettivi specifici misurabili. Anche la legge di bilancio 2020 introduce alcuni strumenti per la lotta alla PE e il recentissimo Pniec 2030, pubblicato il 21 gennaio 2020, prende nuovamente in considerazione il problema.
Si nota uno sforzo dell’Italia di allinearsi alle politiche – e alle intenzioni – europee, sforzo senz’altro apprezzabile ma comunque ritenuto finora insufficiente.
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