L’attenzione alla sostenibilità ambientale è un trend sempre più consolidato tra i consumatori ed è diventato un elemento chiave che influisce sulle scelte di chi deve orientarsi nel “mare magnum” di prodotti e servizi offerti dalle aziende. La filosofia green sta influenzando in maniera rilevante e trasversale il marketing delle imprese di ogni settore.
Dal turismo alla mobilità la parola d’ordine è “tutela ambientale”, un atteggiamento di consumo ormai fatto proprio dai diversi marchi che hanno compreso come prescindere dall’affrontare questo tema sia un errore da evitare, pena la perdita di competitività sul mercato. Non fanno eccezione neanche il settore dell’abbigliamento o quello della ristorazione, che offrono tante opportunità per il consumatore eco friendly. Entriamo più nel dettaglio e vediamo qualche esempio concreto.
La tuta antismog
Per gli appassionati dell’attività fisica, ma non solo, in commercio si trova BB.Suit.2.0, la tuta antismog capace di filtrare gli elementi nocivi presenti nell’aria. L’idea è di un gruppo di stilisti olandesi che ha dotato questa tuta di un sensore in grado di misurare la concentrazione di metano e di monossido di carbonio. Quest’indumento hi-tech, grazie alla tecnologia Cold Plasma, può scindere ossigeno e acqua in radicali liberi, favorendo la loro reazione con gas tossici e batteri in modo da produrre diossidi, meno nocivi per l’ambiente.
Se il giubbotto è in…legno
Tra le innumerevoli idee per un abbigliamento green c’è anche l’uso del legno, materiale che la società Ligneah ha trasformato non solo in borse, scarpe e cover per iPhone, ma anche in veri e propri indumenti come i giubbotti. “Abbiamo depositato un nuovo brevetto che prevede un processo totalmente diverso per la lavorazione del legno. Se prima venivano effettuati dei tagli ora, pur continuando ad usare macchinari al laser, si producono delle escavazioni che alla vista rendono il legno uguale alla pelle”, ha spiegato il titolare Marcello Antonelli in un’intervista a Canale Energia. In questo modo è stato ottenuto un materiale alto 2 decimi di mm (mentre prima raggiungeva i 3-4 decimi di mm) che risulta più semplice da modellare e adattabile in maniera più efficace al capospalla per creare i capi di abbigliamento più disparati. “Con questa lavorazione, invece, il legno resta liscio e morbido e si adatta anche alle cuciture”, ha aggiunto Antonelli.
Questi giubbotti, così come tutti i capi d’abbigliamento realizzati con questa tecnica, sono prodotti in maniera green e circolare. Gli scarti della lavorazione ad esempio sono impiegati per piccole lavorazioni di pelletteria o per realizzare degli accessori (come i braccialetti 3 cm x 6 cm). Inoltre la nuova tecnica di incisione fa sì che il materiale eliminato nel corso della lavorazione sia notevolmente ridotto. Infine, il giubbotto è esso stesso 100% riciclabile in quanto “viene realizzato solo con cotone, legno (che proviene dalle foreste controllate del Nord America e Nord europa) e una piccola percentuale di collante a base acquosa che si smaltisce se interrato. Essendo composto da microgranuli può essere diluito in acqua e smaltito nella fognatura”.
Tessuti dagli scarti di arance
Tra i tanti esempi virtuosi del settore dell’abbigliamento green c’è anche Orange Fiber, azienda italiana che ha brevettato e produce tessuti sostenibili dai sottoprodotti agrumicoli. Si tratta di “tessuti di alta qualità per il comparto moda-lusso, utilizzando le centinaia di migliaia di tonnellate di sottoprodotto che l’industria di trasformazione agrumicola produce ogni anno e che altrimenti andrebbero smaltite, con dei costi per l’industria del succo di agrumi e per l’ambiente”, come si legge sul sito aziendale.
Scarpe green
Anche nel settore delle calzature, i prodotti realizzati con un procedimento all’insegna della sostenibilità ambientale non mancano. Ad esempio, il progetto “Ragioniamo con i piedi” di Gigi Perinello propone ai suoi clienti scarpe ecologiche, 100% made in Italy, che utilizzano pelli non conciate chimicamente, cuoio, caucciù e suole ricavate da amido di mais. In particolare, le pelli sono conciate con tannino vegetale ed estratti dalle piante di mimosa, castagno e quercia, mentre per i sottopiedi si è scelto di utilizzare il cuoio, conciato come le pelli e per le suole il caucciù.
Dalla sharing economy…alla sharing fashion
In Svezia c’è chi ha applicato i principi della sharing economy al settore abbigliamento dando vita nel 2016 al progetto ShareWear, collezione di vestiti che possono essere presi in prestito gratuitamente e poi condivisi. Gli abiti presenti sono stati realizzati da diversi stilisti svedesi: Filippa K, Hope, House of Dagmar, Nikolaj d’Étoiles, Uniforms for the Dedicated, Weekday e Whyred. Le foto degli indumenti sono state caricate su Instagram, dove gli utenti hanno potuto chiedere in prestito ciò che desideravano. In particolare, il primo che commentava la foto di un capo lo poteva utilizzare per una settimana. Successivamente, bisognava caricare nuovamente la foto, per permettere a un altro utente di richiedere l’abito per la settimana successiva.
La sostenibilità al ristorante
Fin qui abbiamo visto alcuni esempi virtuosi del binomio sostenibilità/abbigliamento, ma l’attenzione all’ambiente può essere dimostrata con scelte consapevoli anche a tavola. A Milano, ad esempio, la pizzeria Thursday Pizza ha fatto del green l’elemento chiave della sua filosofia di ristorazione realizzando un locale a impatto zero. L’energia utilizzata è infatti totalmente proveniente da fonti rinnovabili e il forno è elettrico, nonchè in grado di modulare i consumi in base al numero delle pizze in cottura. Piatti, tovaglioli, bicchieri e posate sono o in carta o in bioplastica, materiali riciclabili e compostabili.
La stessa filosofia green e zero waste è alla base anche del progetto del ristorante inglese “Silo” a Brighton. L’idea è di puntare sulla filiera corta, usando solo prodotti locali che non abbiano bisogno di imballaggi. I rifiuti, che per necessità sono prodotti, vengono introdotti in un grande compostatore, capace di trattare 640 kg di materia organica ogni 24 ore. Per lavare i servizi igienici, invece, vengono utilizzate acque reflue provenienti dalle macchine del caffè, mentre i prodotti di pulizia sono creati in loco, sfruttando i rifiuti generati dal confezionamento di saponi, disinfettanti e prodotti per la pulizia. Ciò è possibile grazie a un sistema denominato Eowater, basato sull’elettrolisi dell’acqua. Infine, il ristorante monta pannelli solari sul tetto.
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