È in atto una trasformazione dei ghiacciai. “Sottolineo l’uso del termine trasformazione. Spesso si fa sensazionalismo, ma la realtà è che i ghiacciai non stanno scomparendo ma cambiando”, spiega a Canale energia Marco Giardino, docente del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Torino. “Se la tendenza al riscaldamento climatico continuerà, i ghiacciai più piccoli posti a quote altimetriche non elevate sono destinati a scomparire”. Quelli presenti a quote più elevate no. Ma per la loro posizione sono destinati a essere coperti di detriti: “Le tracce residuali di microparticelle e detriti si depositano sul ghiacciaio e sono ricoperte dalle precipitazioni nevose. Restano intrappolate e noi le possiamo analizzare”.
L’università di Torino è infatti in prima linea nel sostegno alla ricerca sulla trasformazione dei ghiacciai. Per celebrare la giornata internazionale della montagna, lo scorso 11 dicembre Stefano Geuna, rettore dell’ateneo, ha presentato due progetti: la convenzione siglata con il Club alpino italiano (Cai), per lo studio delle condizioni di stabilità degli ambienti d’alta quota, e la firma dell’accordo di collaborazione con il Comitato glaciologico italiano (Cgi), che dal 1895 promuove e coordina le ricerche nazionali nel settore della glaciologia.
La convenzione UniTo-Cai sulla salute degli ambienti d’alta quota
Al primo progetto, che vedrà protagonista il dipartimento di Scienze della Terra, collabora anche Imageo srl, spin off dell’ateneo specializzato nello studio di instabilità naturali d’alta quota. I soggetti coinvolti si occuperanno di studiare gli effetti della deglaciazione e della degradazione del permafrost sulla stabilità dei rifugi alpini e delle relative via d’accesso.
Ad anticipare il lancio del progetto è stata un’analisi condotta dai ricercatori dell’ateneo insieme al Cai sul monte Rosa, in corrispondenza della capanna Margherita. Si tratta del rifugio più alto d’Europa, situato a oltre 4.500 metri di quota, dove si trova anche l’osservatorio fisico-meteorologico sede di laboratori medici e scientifici dell’università di Torino. Da qui partirà l’analisi pluriennale sviluppata seguendo le linee guida definite dal Group on glacier and permafrost hazards (Gaphaz) dell’International association of cryospheric sciences and international permafrost association (Iacs/Ipa).
Questo lavoro pluriennale è stato preceduto dall’analisi di fotografie storiche e recenti sulle condizioni ambientali di Punta Gnifetti, su cui poggia il rifugio. Il team di lavoro, composto da ricercatori e studenti, ha raccolto e interpretato la documentazione fotografica e di notizie presente nell’archivio storico della biblioteca custodita dalla sezione di Varallo del Cai. Un’analisi multitemporale che ha visto la partecipazione di guide alpine e operatori dei rifugi nel settore del Monte Rosa. Dal 1893 sono emerse alcune differenze geomorfologiche. I risultati, e la metodologia, sono consultabili sul portale dedicato: un modo per soddisfare la sete di conoscenza di alpinisti e appassionati, ma anche per sensibilizzare la coscienza collettiva sulla necessità di tutelare questa risorsa.
Fonte foto: http://www.geositlab.unito.it/capanna
L’accordo con il Cgi per studiare la trasformazione dei ghiacciai
“L’università di Torino storicamente ha uno stretto rapporto di collaborazione scientifica con il Comitato glaciologico italiano, che è ospitato sin dagli anni Trenta nei locali del dipartimento di Scienze della Terra”, prosegue Giardino. La sede potrà quindi diventare un punto di riferimento per studenti e ricercatori che parteciperanno al progetto Universitas montium (Unita) per sfruttare al meglio la vicinanza e la collaborazione con l’université Savoie mont Blanc di Chambéry. “La sinergia tra i due organismi si concretizza nella condivisione delle biblioteche, nell’attivazione di stage formativi e di tesi di laurea sulle discipline glaciologiche, nella valorizzazione del prezioso patrimonio documentale che il Cgi ha raccolto nei suoi 125 anni di attività”.
Fiore all’occhiello di queste attività sono le annuali campagne glaciologiche che vengono condotte sui quasi 200 ghiacciai italiani e che hanno consentito la raccolta di un’enorme massa di informazioni. Un “importantissimo punto riferimento nell’attuale momento di profonda trasformazione dei ghiacciai”, rimarca il professore. Difatti, annualmente il Cgi invia questi dati alle reti internazionali di monitoraggio della criosfera così da controllare la trasformazione dei ghiacciai e gli effetti sulla salvaguardia dell’ambiente e dell’economia nella regione delle Alpi.
L’attività di studio sistematica e l’evidenza del dato oggi desta preoccupazione tra gli scienziati: “Sulle Alpi la superficie glaciale dalla fine della piccola età glaciale ad oggi si è ridotta di oltre il 60%, con punte dell’80%”, spiega Giardino. A questo si aggiunge la preoccupazione relativa “all’accelerazione dell’arretramento avvenuta negli ultimi decenni della fronte dei ghiacciai, la parte terminale”. È un’ulteriore prova dell’influenza dei cambiamenti climatici sulla trasformazione dei ghiacciai. Sta all’uomo, resiliente per natura, invertire la rotta e correggere le attività antropiche all’origine dell’inquinamento per riuscire a tutelare questo patrimonio dal valore inestimabile.
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