Non è la mobilità la prima fonte di inquinamento atmosferico nelle città ma il riscaldamento domestico. Un semplice dato che si scontra con l’uso massiccio di smartworking dovuto alla pandemia da Covid-19 e l’arrivo dell’inverno. Si accenderanno i riscaldamenti e la maggior parte delle persone sarà distribuita in singole abitazioni invece che raggruppata in ufficio e posti di lavoro. Si accenderanno tanti impianti. Gli stessi che già incidono in modo significativo sull’inquinamento nazionale.
A causa del Covid-19 si usano anche meno i mezzi pubblici per spostamenti di lungo raggio, una contro ondata alla sostenibilità rispetto a quanto si diceva che la natura si riprende la città. Lo smartworking quindi, oltre a cambiare la mobilità, potrebbe avere una accezione negativa rispetto la vivibilità delle città.
“L’ondata verde nel mio augurio c’è, ci deve essere e ci sarà nel medio lungo periodo ma nel breve era impensabile fare una programmazione per modificare le cose da subito” spiega Alessandro Miani presidente Sima, Società italiana di medicina ambientale. L’associazione ha un approccio multidisciplinare che include oltre alla medicina, la fisica, l’ingegneria e aspetti sanitari e di salute di pubblica. “Bisognerebbe ripensare, partendo dai riscaldamenti, e non solo, a una strategia diversa. Ovvero dove noi possiamo produrre una buona quantità di energia da fonti rinnovabili come idroelettrico, fotovoltaico ed eolico, utilizzarle per elettrificare i riscaldamenti degli edifici, prima sorgente di emissione in assoluto di diparticolato atmosferico. Soprattutto in quelle regioni in cui, come accade nella Pianura Padana, soffrono di alti tassi di inquinamento e stabilità atmosferica nei mesi invernali”.
Poca diminuzione di inquinanti nell’aria rispetto lo stop dei veicoli
Durante il lock down c’è stata una diminuzione di NOx del 30% che corrisponde a una diminuzione di 20 microgrammi per metro cubo. Il PM10 ha visto una riduzione dell’11% a fronte di una riduzione massima del traffico del 70% nella terza settimana del lockdown, periodo in cui si è registrato il minore traffico veicolare. È stato osservato che gli inquinanti si sono ridotti in dosi meno significativo rispetto alla riduzione del traffico.
Come spiegano i dati di Arpa Lombardia e le cui conseguenze ci illustra Paola Fermo dipartimento di Chimica dell’università degli studi di Milano responsabile della qualità dell’aria out door dell’associazione: la diminuzione del PM non è stata notevole perché c’è in aria una concentrazione elevata di Ammoniaca che reagisce con gli ossidi di azoto del traffico e si forma il Nitrato di ammonio. Questa sostanza è parte costitutiva del diparticolato atmosferico. Di conseguenza non c’è una riduzione significativa nell’aria come invece ci si poteva aspettare dall’uso massiccio di smartworking.
Viene da chiedersi se scelte come quella della regione Emilia Romagna di considerare lo smartworking tra le azioni per limitare l’inquinamento nell’aria sia poco significativa. Di fatto non basta per incidere in modo indicativo sull’impronta ecologica. Per far sì che si amplifichi il suo impatto è necessario affrontare dei cambiamenti radicali nelle nostre città.
Riscaldamento, allevamenti e mobilità i tre asset in cui fondare una strategia risolutiva contro l’inquinamento
“Un impatto importante si potrebbe ottenere se si riuscisse a elettrificare i riscaldamenti per le combustioni, almeno in quelle regioni in cui le fonti rinnovabili ci sono e la Lombardia è una di queste. Dove non c’è una sufficiente copertura di fonti rinnovabili, bisognerebbe utilizzare l’idrogeno come strumento per immagazzinare energia green da distribuire. Ovviamente tutto questo non si può fare in due mesi. In tempi rapidi è possibile realizzare un modello previsionale grazie ai dati del passato, e le Arpe li hanno, e ridurre i riscaldamenti e fermare il traffico prevedendo i momenti di picco. Facendo sì che tutte le sorgenti emissive centrali vadano al minimo”.
Anche perché il Covid-19 si trasferisce più facilmente e dura di più nell’aria proprio a causa dell’inquinamento, come dimostrato dalla ricerca di cui Miani è parte del team e che abbiamo già trattato su Canale energia. “Studio ripreso da più di 200 pubblicazioni scientifiche di cui un premio Nobel”, ci aggiorna il presidente Sima e che ora è sotto “grande attenzione di molti stati, proprio per andare in una direzione diversa. Questa pandemia la vediamo come forte, ma se andiamo avanti così, le prossime lo saranno molto di più e molto peggiori di questa, quindi bisogna trovare una soluzione di medio lungo periodo”.
La seconda fonte di inquinamento più importante sono gli allevamenti intensivi. In Pianura Padana sono la sorgente più importante di PM10 secondario, ossia anche di Pm2.5 di particolato secondario che si genera a causa della cristallizzazione in atmosfera emesse dalle deiezioni animali. “Anche qui c’è una soluzione, cioè raccogliere i vapori e produrre biogas”, riducendo molto la produzione del diparticolato e producendo energia. “In Italia ci sono già molti progetti pilota attivi e avanzati che permettono di usare questa energia e anche di rivenderla”.
Come terzo problema rimangono le automobili. “Bisogna puntare sempre di più ad avere auto meno inquinanti, possibilmente elettriche e in un futuro non troppo lontano all’idrogeno. Oggi l’idrogeno fa già andare avanti in alcuni paesi del mondo treni e pullman, ma non consente ancora una piena sicurezza del traffico veicolare”. Serve arrivare preparati a questa rivoluzione energetica e pensare a sviluppare una rete nazionale per il rifornimento da questa risorsa. Come suggerisce Miani: “L’idrogeno è veramente dietro l’angolo. Mi riferisco a quello prodotto da rinnovabili. Per questo bisogna incentivare molto la produzione di queste fonti energetiche nel Paese, possiamo tranquillamente raddoppiarla”.
Fermo restando che “se il Governo decidesse che tutte le auto con motore a scoppio ad oggi circolanti, andassero sostituite con auto elettriche ci vorrebbero circa 18 anni all’attuale standard di produzione delle case automobilistiche. Mentre i dati ci dicono che se non lo facciamo in dieci anni siamo oltre i tempi di inversione di tendenza. Sono scelte forti”.
Lo smartworking quindi gioca un ruolo importante: “L’inquinamento in Italia genera una forchetta di costi dal 3 e 5 punti di Pil. Sono costi che se spostati, anche su slot quinquennali, dal un costo diretto sanitario su investimenti di soluzioni tecnologiche che come abbiamo visto esistono già, rappresenterebbero un grande investimento e un risparmio.
Questo Governo anche se non sembra molto robusto come idea di massima va in questa direzione. Il problema è capire se è in grado di incidere in maniera significativa su queste scelte”.
Di certo lo smartworking risponde nell’immediato alla esigenza di proteggersi dal virus e in seguito, anche in attesa dell’idrogeno, rappresenta una soluzione per la riduzione della mobilità, ma da solo può ben poco per ridurre l’inquinamento.
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