La quinta sessione di negoziati sul nuovo Trattato delle Nazioni Unite sulla plastica si è chiusa il 2 dicembre a Busan, in Corea del Sud, con trattative in fase di estensione. I Paesi che stanno negoziando lo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, sull’inquinamento da plastiche anche nell’ambiente marino hanno aggiornato una base di accordo che fungerà da punto di partenza per i negoziati nella prossima sessione che sarà ripresa nel 2025.
Plastica nei mari, mancato accordo a Busan
I negoziati avrebbero dovuto fornire subito quello che sarebbe stato il testo finale di un futuro trattato. Commentando il mancato raggiungimento di un accordo, il Wwf Italia esorta i Paesi a “continuare a spingere per quelle misure necessarie a porre fine all’inquinamento da plastica, all’ulteriore sviluppo di liste di prodotti e sostanze chimiche da vietare e a concludere il processo di negoziazione il prima possibile” si legge a commento nella nota stampa.
L’associazione ambientalista chiarisce, inoltre, che le misure per un futuro accordo dovranno includere “divieti globali e eliminazioni graduali di plastiche e sostanze chimiche dannosi, standard globali per la progettazione dei prodotti, un meccanismo di finanziamento robusto e strumenti per rafforzare il Trattato nel tempo”.
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Wwf Italia: in 1.000 giorni, 30 milioni di plastica negli oceani
Nel corso dell’ultima sessione plenaria 95 Paesi di diverse regioni del mondo, tra i quali l’Italia, ha dichiarato che non avrebbe accettato un trattato che non includesse misure globali vincolanti e l’eliminazione progressiva delle sostanze chimiche e dei prodotti in plastica più problematici, come gli oggetti monouso: “Sono ormai passati più di 1.000 giorni e cinque incontri negoziali da quando i governi hanno concordato di stabilire un Trattato giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica” evidenzia la nota del Wwf Italia.
Durante questo periodo, rileva l’associazione, sono state prodotte oltre 800 milioni di tonnellate di plastica, spesso monouso e non necessarie, di cui oltre 30 milioni di tonnellate sono finite nei nostri oceani “con danni enormi per persone e ambiente”.
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