Il mondo della moda è sempre più attento al proprio impatto sul pianeta. L’associazione ambientalista Marevivo onlus punta a creare un’alleanza per un’industria tessile competitiva e sostenibile così da ridurre l’inquinamento dei mari. Lo slogan, e l’hashtag, che richiama questo impegno è #stopmicrofibre, lo stesso della campagna lanciata da tempo da Marevivo sull’inquinamento causato dalle microfibre.“Con questo incontro, desideriamo sensibilizzare le aziende dell’industria tessile sulla necessità di investire nella ricerca e nell’innovazione in tessuti più sostenibili con minor rilascio, e i produttori di lavatrici a sviluppare sistemi di filtraggio più efficaci, contrastare il problema della ‘fast fashion’ e rendere obbligatoria l’etichettatura dei capi di abbigliamento che contengono oltre il 50% di fibre sintetiche”, ha affermato Raffaella Giugni, responsabile relazioni istituzionali di Marevivo, durante il convegno svoltosi ieri all’Accademia Costume & Moda di Roma che ha riunito gli attori della filiera produttiva italiana.
Un carico in lavatrice di capi sintetici produce milioni di microfibre sotto i 5 mm che si riversano in mare e vengono ingerite dagli organismi marini.
Il 40% delle microfibre non viene trattenuto dagli impianti di trattamento e finisce nell’ambiente.
La fondazione Ellen MacArthur nello studio A New textiles economy ha denunciato come gli abiti scarichino ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani. Una quantità pari a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica.
Per l’occasione, l’Accademia Costume & Moda ha bandito la plastica monouso dall’Istituto. Il prossimo anno accademico istituirà il Master in Fabrics Innovation Design per valorizzare l’eccellenza manifatturiera italiana attenta all’innovazione nel campo dei materiali. “Siamo di fronte a una nuova, vera rivoluzione industriale che si gioca sull’economia circolare – ha commentato Lupo Lanzara, vicepresidente dell’Accademia Costume & Moda – Un’evoluzione che ci impone di modificare il modo in cui produciamo e consumiamo. E’ una sfida stimolante che abbiamo accolto con entusiasmo perché noi, che lavoriamo nell’education, dobbiamo sempre volgere lo sguardo al futuro e abbiamo l’ambizioso compito e il dovere di formare i nuovi creativi e le nuove classi dirigenti”.
Il noleggio dell’abito
Nel mondo della moda cresce anche il noleggio degli abiti inutilizzati appesi nell’armadio. La tendenza si chiama “fashion renting” ed è partita dall’America, ha spopolato in Cina e nel Regno Unito, e sta arrivando in Italia. La condivisione dell’abito permette di allungare il tempo di vita utile del prodotto: secondo El Pais ogni anno in Europa si producono 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, la durata degli abiti si è accorciata del 36 per cento negli ultimi 15 anni e i vestiti hanno una vita media inferiore ai 160 utilizzi.
“Con il fashion renting chiunque può realizzare il desiderio d’indossare capi d’alta moda per un’occasione speciale – spiega Caterina Maestro, fondatrice della startup milanese DressYouCan – o semplicemente risolvere il quotidiano problema dell’outfit da ufficio, affidandosi completamente alle competenze di esperte fashion renter. Il noleggio di abiti rappresenta un asso nella manica per stupire con la propria eleganza nonché una perfetta soluzione per chi sogna un guardaroba illimitato che non alimenti sprechi e inquinamento”.
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