Il mercato tende sempre più a premiare le società che adottano pratiche virtuose e a penalizzare quelle che se ne discostano, sia a livello di prezzo delle azioni che di valore stesso dell’impresa, che può ridursi anche del 5,6% nel caso di società che pur avendo una buona reputazione incorrono in danni ambientali.
A sostenerlo, un’analisi dell’Osservatorio climate finance della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi al convegno annuale, dedicato a “Climate change: la risposta dei mercati finanziari”, la quale ha analizzato la reazione del mercato azionario all’aumento del prezzo dei Certificati di emissione di anidride carbonica (Certificati Ets), cioè il meccanismo che incentiva la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili imponendo come costo a chi utilizza fonti inquinanti, l’acquisto di certificati da chi produce energia pulita in eccesso.
“Considerando quasi 12mila impianti di generazione di energia elettrica in Europa, relativi a imprese quotate e sottoposte a questa politica di scambio di emissioni (policy Ets), spiega Vincenzo Butticè, vicedirettore dell’Osservatorio, si nota una forte correlazione tra il prezzo dei Certificati Ets e il rendimento di mercato, in base alla carbon intensity della società: solo quelle che hanno un’impronta carbonica limitata, e dunque hanno investito in tecnologie verdi, beneficiano dell’aumento dei prezzi dei Certificati Ets, al contrario, chi inquina è fortemente penalizzato”.
La reazione dei consumatori a chi si macchia di danni ambientali
In merito alla reazione dei consumatori nei confronti delle aziende che si macchiano di danni ambientali, lo studio ha analizzato 700 società quotate tra Italia, Francia, Regno Unito e Germania, che nel periodo 2020-21 hanno presentato dati sul rischio reputazionale.
“Quello che si evince, continua Butticè, è che la riduzione di una tacca nel rating reputazionale può comportare una riduzione del valore dell’impresa fino a -5,6%: le imprese virtuose, nel momento in cui si rendono responsabili di un incidente che comporta danni ambientali, vengono penalizzate dal mercato in maniera più consistente rispetto a quelle che non lo sono”.
Pertanto, le aziende con una buona reputazione sono spinte a mantenerla nel tempo e gli stakeholder hanno certamente un ruolo importante nell’influenzare le scelte aziendali.
“La spinta alla mitigazione del cambiamento climatico influenza le strategie di reshoring e la composizione delle catene del valore globali”, conferma Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio.
“Abbiamo analizzato 126 multinazionali nel settore manifatturiero che avevano spostato le attività produttive all’estero. Ebbene, quelle che pubblicano un report di sostenibilità e sono originarie di Stati con politiche ambientali stringenti, e che dunque sono sottoposte al giudizio di stakeholder molto attenti al tema della sostenibilità, hanno una probabilità di rientrare nel Paese d’origine del 64% contro l’1,5% di media, accorciando così di molto la filiera e adottando processi di gestione certificati”.
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