Il buco dell’ozono è ancora esteso, per essere dicembre

È dal 2020 che il buco dell’ozono antartico si chiude più tardi rispetto al solito: la colpa potrebbe essere anche dei cambiamenti climatici.

buco dell'ozono
Area del buco dell’ozono dell’emisfero meridionale nel 2023 (linea rossa) rispetto agli anni precedenti fino al 28 novembre. Il buco dell’ozono è calcolato come l’area con valori della colonna di ozono inferiori a 220 DU a sud del parallelo 60oS. Credit: CAMS/ECMWF.

Il buco dell’ozono antartico si forma ogni anno nel mese di agosto, quando, sopra il Polo Sud, iniziano ad accumularsi sostanze lesive per l’ozono che, insieme alla radiazione solare, alle temperature estremamente fredde e alle nubi stratosferiche polari, portano a una drastica riduzione della concentrazione di ozono nella stratosfera. Il buco si chiude solitamente verso la fine di novembre, quando le temperature stratosferiche aumentano nuovamente.

Le anomalie riscontrate dal CAMS

Quest’anno, però, il Servizio di monitoraggio dell’atmosfera di Copernicus (Copernicus Atmosphere Monitoring Service – CAMS) ha riscontrato alcune anomalie: il buco dell’ozono si è originato in maniera insolita, con un aumento precoce delle dimensioni che l’hanno portato a diventare il sesto più grande dell’era satellitare, a partire dal 1979, con un’area totale di 26,15 milioni di chilometri quadrati. Nonostante l’area sia diminuita normalmente fino all’inizio di ottobre, è aumentata di nuovo verso la fine del mese mantenendo una dimensione di circa 15 milioni di km² che si prevede durerà fino alla prima settimana di dicembre.

I fattori da tenere sotto osservazione

A dire il vero, è dal 2020 che i buchi dell’ozono si chiudono molto più tardi rispetto al solito. La colpa è di temperature stratosferiche più fredde della media e di un forte vortice polare che potrebbe essere legato a vari fattori, come il vapore acqueo immesso nella stratosfera dal vulcano Hunga-Tonga, le oscillazioni dei flussi di vento nell’emisfero meridionale e i cambiamenti climatici.

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Il Protocollo di Montréal

“Dalla firma del Protocollo di Montréal, abbiamo ridotto drasticamente le emissioni di sostanze che intaccano lo strato di ozono, dando spazio all’atmosfera per iniziare il suo processo di recupero”, spiega Vincent-Henri Peuch, direttore del CAMS. “Si tratta di un percorso lungo che coinvolge molti fattori fluttuanti che devono essere monitorati per avere una corretta comprensione dell’andamento dello strato di ozono. Il successo del Protocollo di Montréal è una testimonianza di quanto possano essere efficaci le azioni per proteggere il clima globale”.


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