Il buco dell’ozono antartico si forma ogni anno nel mese di agosto, quando, sopra il Polo Sud, iniziano ad accumularsi sostanze lesive per l’ozono che, insieme alla radiazione solare, alle temperature estremamente fredde e alle nubi stratosferiche polari, portano a una drastica riduzione della concentrazione di ozono nella stratosfera. Il buco si chiude solitamente verso la fine di novembre, quando le temperature stratosferiche aumentano nuovamente.
Le anomalie riscontrate dal CAMS
Quest’anno, però, il Servizio di monitoraggio dell’atmosfera di Copernicus (Copernicus Atmosphere Monitoring Service – CAMS) ha riscontrato alcune anomalie: il buco dell’ozono si è originato in maniera insolita, con un aumento precoce delle dimensioni che l’hanno portato a diventare il sesto più grande dell’era satellitare, a partire dal 1979, con un’area totale di 26,15 milioni di chilometri quadrati. Nonostante l’area sia diminuita normalmente fino all’inizio di ottobre, è aumentata di nuovo verso la fine del mese mantenendo una dimensione di circa 15 milioni di km² che si prevede durerà fino alla prima settimana di dicembre.
#CopernicusAtmosphere forecasts show continuation of the Antarctic #ozone hole into early December. It is one of the largest on record for the time of year with an area of 15M km² since late Oct 🌐.
More details about the unusual 2023 #ozonehole season 👉 https://t.co/NsYTYplWWe pic.twitter.com/hd0Y88ufIn
— Copernicus ECMWF (@CopernicusECMWF) November 30, 2023
I fattori da tenere sotto osservazione
A dire il vero, è dal 2020 che i buchi dell’ozono si chiudono molto più tardi rispetto al solito. La colpa è di temperature stratosferiche più fredde della media e di un forte vortice polare che potrebbe essere legato a vari fattori, come il vapore acqueo immesso nella stratosfera dal vulcano Hunga-Tonga, le oscillazioni dei flussi di vento nell’emisfero meridionale e i cambiamenti climatici.
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Il Protocollo di Montréal
“Dalla firma del Protocollo di Montréal, abbiamo ridotto drasticamente le emissioni di sostanze che intaccano lo strato di ozono, dando spazio all’atmosfera per iniziare il suo processo di recupero”, spiega Vincent-Henri Peuch, direttore del CAMS. “Si tratta di un percorso lungo che coinvolge molti fattori fluttuanti che devono essere monitorati per avere una corretta comprensione dell’andamento dello strato di ozono. Il successo del Protocollo di Montréal è una testimonianza di quanto possano essere efficaci le azioni per proteggere il clima globale”.
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