Le emissioni stimate di metano di 29 grandi aziende produttrici di carne e latticini a livello mondiale sono comparabili a quelle delle 100 maggiori aziende del settore dei combustibili fossili. Lo rivela il rapporto Turnig down the heat pubblicato da Greenpeace Nordic che mostra i diversi percorsi virtuosi che si potrebbero intraprendere tra il 2025 e il 2050 per i settori della zootecnia e dei prodotti lattiero-caseari. Ridurre le emissioni di metano dovute alla produzione industriale di carne e latticini è una leva fondamentale per contrastare l’incedere della crisi climatica.
Crisi climatica: emissioni responsabili del 75% del riscaldamento al 2050
Se non si procederà a ridurre il numero di animali allevati, il solo settore della carne e dei latticini sarà responsabile di un aumento della temperatura globale di 0,32°C entro il 2050: dallo studio che il metano sarebbe responsabile di oltre il 75% del riscaldamento.
Questo è un aspetto cruciale, soprattutto perché il metano è un gas a effetto serra 80 volte più potente dell’anidride carbonica nei primi 20 anni dall’emissione. Di conseguenza, come mette in risalto il report, è fondamentale diminuire rapidamente già in questo decennio le emissioni per prevenire gli effetti più gravi della crisi climatica. Trascurare un’azione tempestiva in questo settore significherebbe aumentare le temperature medie globali di altri 0,16°C già nel 2030.
Al contrario, se si riducesse la produzione industriale, in linea con le raccomandazioni di Eat – Lancet planetary health, si potrebbe evitare un aumento della temperatura di 0,12°C entro il 2050 poiché equivarrebbe a una riduzione del 37% del riscaldamento legato agli allevamenti.
Leggi anche Crisi climatica, italiani tra i più consapevoli in Europa
Le emissioni delle aziende di carne e dei latticini a confronto con Big oil
Secondo le stime di Greenpeace, le 29 aziende produttrici di carne e latticini oggetto di studio emettono circa 20 milioni di tonnellate di metano all’anno, pari a un quinto del totale delle emissioni globali provenienti dall’allevamento, come riportato dalle Nazioni Unite: “La mancanza di trasparenza del settore fa sì che molte aziende produttrici di carne e latticini non pubblichino i dati relativi alla produzione di carne o alla lavorazione del latte, né rendano conto delle loro emissioni di CO2 e metano, e tanto meno che le sottopongano a verifica indipendente” si legge nel report. Le aziende di cui sono state stimate le emissioni sono quindi solo un “elenco indicativo degli antagonisti di Big oil nel settore della carne e dei latticini, ma va considerato che ve ne sono certamente molte altre”.
I piani climatici non hanno parametri e obiettivi coerenti e armonizzati tra le aziende e i dati autodichiarati mancano di una verifica indipendente: ciò rende nella pratica impossibile confrontare le aziende e i loro progressi verso una reale azione per il clima: “I dati rivelano che questi piani climatici rimangono in gran parte un esercizio di pubbliche relazioni”, soprattutto perché la maggior parte delle emissioni di queste aziende rientra nell’ambito di quelle indirette Scope 3 ossia le emissioni derivanti dai prodotti animali che vengono lavorati nelle filiere di approvvigionamento.
In conclusione, i risultati illustrati nell’analisi condotta da Greenpeace Nordic confermano che un approccio più equo ed ecologico alla produzione di carne e latticini e ai cambiamenti nella dieta costituisce un’efficace mitigazione del cambiamento climatico.
Leggi anche Crisi climatica ed energia perché è importante parlarne
Per ricevere quotidianamente i nostri aggiornamenti su energia e transizione ecologica, basta iscriversi alla nostra newsletter gratuita
e riproduzione totale o parziale in qualunque formato degli articoli presenti sul sito.