Un consorzio internazionale ha approfondito lo studio dell’estremizzazione dei fenomeni meteorologici al fine di comprendere meglio i cambiamenti climatici in corso nel nostro continente. La ricerca guidata dall’Università di Colonia e rappresentata per l’Italia dalle Università di Firenze, Bari, Reggio Emilia, Pisa e la Sapienza di Roma con la partecipazione del Cnr e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), ha preso il via a partire dallo studio dei sedimenti del lago di Ohrid (Ocrida in italiano ndr.), bacino posto al confine tra Albania e Macedonia del nord, pubblicato dalla rivista Nature.
Un’indagine durata cinque anni
Il gruppo di ricercatori coordinato da Bernd Wagner dell’università di Colonia ha lavorato su carotaggi di 3km di profondità eseguiti nel 2013 e nel fondale del lago di Ohrid. In questo modo è stato possibile esaminare la successione delle stagioni negli ultimi centinaia di migliaia di anni.
Dall’indagine è emerso il susseguirsi di forti contrasti tra gli inverni umidi del Mediterraneo centro settentrionale alternati alle calde estati monsoniche. “Le proiezioni dei modelli fisico-matematici sul clima futuro del Mediterraneo, a seguito del riscaldamento globale, sono caratterizzate da ampie incertezze soprattutto per quanto riguarda l’andamento delle precipitazioni, da cui dipende la disponibilità idrica di oltre 450 milioni di persone” spiega in una nota sulla ricerca il coordinatore italiano degli studi il prof. Giovanni Zanchetta, docente del dipartimento di scienze della terra presso l’Università di Pisa. Un fattore che rende problematica la valutazione della quantità di ghiaccio a livello globale e la concentrazione di gas serra nel macro periodo.
Effettuando un paragone con gli ultimi dati spiega come le traiettorie attuali delle quantità di pioggia sul Mediterraneo, condividono alcune similitudini con quelle proiettate a guidare l’aumento di precipitazioni.
La professoressa Eleonora Regattieri, ricercatrice presso l’Università di Pisa puntualizza nella nota che: “Le proprietà geochimiche e il contenuto di polline rinvenuti nei carotaggi hanno mostrato un aumento delle precipitazioni nel periodo autunnale e invernale legato ad un riscaldamento delle temperature superficiali del mar Mediterraneo, che si verifica durante i periodi caldi e interglaciali” effetti che se studiati possono migliorare le proiezioni sul cambiamento climatico.
Modelli climatici definiti per studiare l’assottigliamento dei ghiacci nell’Artico
La perdita sempre più repentina di ghiaccio marino nell’Artico è determinata dal crescente apporto di calore operato dalle acque dell’oceano Atlantico. Lo dimostra la ricerca “Impact of model resolution on Arctic sea ice and North Atlantic Ocean heat transport“, da poco pubblicata sulla rivista scientifica Climate Dynamics, che ha indagato l’impatto della risoluzione dei modelli climatici su processi cruciali per la dinamica del clima globale.
Lo sforzo dei ricercatori
I ricercatori della Fondazione Cmcc-Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, Dorotea Iovino e Alessio Bellucci, sono tra i membri del team guidato da David Docquier, dell’Earth and Life Institute, dell’Università cattolica di Louvain (Belgio). L’indagine rientra sotto l’ombrello del progetto di ricerca europeo Horizon2020 Primavera – PRocess-based climate sIMulation: AdVances in high-resolution modelling and European climate Risk Assessment, la parte europea del lavoro internazionale HighResMIP, Coupled Model Intercomparison Project 6, in supporto dell’IPCC. L’obiettivo è sviluppare una nuova generazione di modelli climatici globali ad alta risoluzione per fornire proiezioni del clima a scala regionale con un’accuratezza senza precedenti.
I risultati
È stato dimostrato come l’estensione e lo spessore dei ghiacci dell’Artico si riducano all’aumentare dell’apporto di calore presente nelle acque dell’oceano Atlantico. Il fenomeno interessa soprattutto le aree a nord di 60°N: le regioni dei mari di Barents e di Kara, dei mari di Groenlandia, Islanda e Norvegia (settore Atlantico del Mar Glaciale Artico) raggiunti per primi dalle acque calde oceaniche.
“Sappiamo che il trasporto di acque più calde provenienti dall’Atlantico è uno dei fattori responsabili della riduzione dei ghiacci artici osservata negli ultimi decenni – ha dichiarato in una nota stampa Bellucci –. Grazie all’analisi coordinata di esperimenti condotti con 5 diversi modelli (tra cui il modello del CMCC), utilizzando un protocollo sperimentale concordato, è stato possibile studiare per la prima volta nel dettaglio l’impatto della risoluzione dei modelli sulla rappresentazione dell’interazione tra ghiaccio marino e circolazione oceanica”.
Si è dedotto che “il grado di realismo nella rappresentazione dei processi oceanici gioca un ruolo primario, mentre il ruolo della risoluzione dei processi atmosferici appare più incerto”, conclude Bellucci. In generale “l’uso di modelli climatici globali con un oceano ad alta risoluzione (25 Km) migliora sensibilmente la rappresentazione delle temperature superficiali e delle correnti oceaniche, a beneficio di un generale miglioramento nella rappresentazione della variabilità climatica nell’Artico”.
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