Cambiamento climatico causerà l’estinzione delle foreste marine

Gli scenari nello studio realizzato dall'università di Pisa con Ispra e altri istituti di ricerca

Il cambiamento climatico rischia di provocare, a livello mondiale, una riduzione tra l’80 e il 90% delle foreste macroalgali e le fanerogame, tra cui la posidonia, comportandone il rischio di estinzione entro il 2100. Lo rivela lo studio condotto dalle università di Pisa e di Helsinki, dall’Ispra e dal Centro di eccellenza australiano per la biodiversità e il patrimonio naturale, pubblicato sulla rivista Nature Communications.

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Questi organismi sono essenziali per la vita marina in quanto producono ossigeno attraverso la fotosintesi, immagazzinano anidride carbonica, contribuiscono a mantenere una elevata biodiversità, rappresentano la nursery per numerose specie di pesci e crostacei, oltre a proteggere dall’erosione costiera.

Cambiamento climatico: nel 2100 estinzione di alghe e foreste marine

La ricerca ha mappato la distribuzione di ben 207 specie, 185 macroalghe brune e 22 fanerogame, a partire dal 2015 con proiezioni annuali sino alla fine del secolo. I modelli mostrano che il cambiamento climatico avrà impatti sostanziali e netti sulla diversità e sulla distribuzione delle macrofite che strutturano gli ecosistemi marini. Le risposte previste ai fattori climatici e ambientali, indicano un declino globale nella diversità delle specie locali, nella disponibilità di habitat macrofitici e nell’estensione media dell’area di occupazione delle macrofite. I risultati mostrano modelli contrastanti tra i due gruppi di macrofite, con le praterie di fanerogame marine maggiormente colpite dalla perdita di habitat adatti a livello globale e le macroalghe brune con maggiori perdite di diversità delle specie locali.

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In base agli scenari tracciati, ci saranno dunque zone che potranno perdere o guadagnare livelli di biodiversità, in un bilancio complessivo comunque negativo. Secondo le stime proposte, le foreste di macroalghe e le fanerogame diminuiranno soprattutto in Europa, nel Mar Baltico, nel Mar Nero, nella costa pacifica del Sud America, nella penisola coreana e nelle coste nord-occidentali e sud-orientali dell’Australia. In generale, si prevedono cali in tutte le regioni marine in cui sono presenti, ad eccezione di un’espansione delle macroalghe brune nell’Artico.

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Le praterie marine aumenteranno alle alte latitudini: le proiezioni

La crisi climatica in atto potrebbe quindi riconfigurare la diversità globale delle macrofite nei prossimi decenni, con cambiamenti futuri che mostrano un’elevata variabilità regionale e latitudinale. A latitudini intermedie o elevate, che attualmente ospitano la maggior parte delle macroalghe brune, le condizioni climatiche di fine secolo potrebbero superare i limiti di tolleranza delle specie residenti. Le praterie marine diminuiranno anche nelle regioni temperate, ma aumenteranno alle alte latitudini: “Tuttavia, le perdite di diversità sono previste con maggiore certezza rispetto ai guadagni, perché mentre le prime possono essere determinate dalla sola perdita di condizioni abiotiche idonee, le seconde sono vincolate da componenti biotiche e di dispersione che non abbiamo incorporato nei nostri modelli” si legge nello studio.

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Foto di cortesia: ufficio stampa università degli Studi di Pisa.

Inoltre, alcune specie di macroalghe brune potrebbero rispondere a condizioni abiotiche inadatte migrando a profondità maggiori, anziché latitudinalmente. Questi rifugi in acque profonde potrebbero consentire la persistenza di foreste di alghe brune in aree in cui sono previste contrazioni dell’area di occupazione. Gli spostamenti verticali nella distribuzione delle praterie di fanerogame marine sono più improbabili, a causa dei loro requisiti minimi di luce generalmente più elevati.

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