Realizzare una produzione alimentare che sia agricola o animale nel modo più sostenibile possibile per l’ambiente e per la salute umana. Questo uno dei target che il Brasile si è posto e su cui ha investito in ricerca e tecnologia.
Un successo che lo ha posizionato tra i primi paesi produttori di proteine vegetali, soia, e animali, nel mondo. Se ne è parlato ieri 18 ottobre presso l’Ambasciata del Brasile in Italia a palazzo Pamphili a Roma in un confronto con il quadro italiano.
La tecnologia satellitare e Ai al centro dello sviluppo agricolo
Il Brasile è cresciuto molto in questi anni sotto il profilo di utilizzo sostenibile delle terre e molto sta facendo anche per contrastare l’abbattimento illegale di terreni nella foresta Amazzonica, polmone del mondo.
Per fare un simile salto in avanti la tecnologia è stata fondamentale come la geolocalizzazione satellitare. Il prossimo passo sarà l’applicazione di web3 quindi tutto ciò che deriva dall’analisi dei dati e dall’intelligenza artificiale. Un tema su cui la protezione delle privacy degli utilizzatori avrà uno spazio importante, come sottolinea Gladys H. Morales senior officer responsabile globale dell’innovazione di Ifad, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo. L’aspetto tecnologico tra l’altro rappresenta anche un punto su cui è importante crescere in quanto molte zone rurali del Brasile non sono connesse. Non a caso la stessa Ifad usa la tecnologia geo spaziale per verificare l’andamento dello sviluppo delle aree agricole su cui realizzano in prima persona investimenti.
Uno scenario che vede la resilienza al cambiamento climatico come priorità numero uno. Nonostante ciò non mancano i timori per le recenti indicazioni europee rispetto la Farm to Fork e il Green Deal.
“L’accordo di libero scambio con la UE compie adesso 24 anni” spiega Felipe Luis Ody Spagnol, coordinatore di intelligenza commerciale difesa di interesse della Confederazione Agricola e Zootecnia del Brasile, CNA. “La situazione da allora è cambiata. Queste condizioni creano un disequilibrio. Servono accordi commerciali che tutelino la sicurezza giuridica. Le norme formano il mercato, le legislazioni unilaterali formano barriere” avverte.
Ridurre le emissioni producendo bioetanolo
In questo contesto la sinergia con la produzione energetica svolge un ruolo importante come evidenzia nel corso della mattinata Evandro Gussi, presidente e amministratore delegato di Unica, l’industria della canna da zucchero e delle bioenergie in Brasile. “Nel nostro secolo il mondo ha due grandi sfide da affrontare: la prima è quella di fornire cibo ed energia, la seconda è quella di farlo in modo sostenibile.” Per farlo Gussi non ha dubbi: il sistema alimentare ed energetico integrato è la risposta. Per questo il paese ha deciso di rispondere all’esigenza di maggiore energia con la produzione di bioetanolo. Un prodotto che dagli studi in corso è arrivato a ridurre la CO2 emessa da 22 grammi a 16 per litro. Non è un caso che su questa sfida il Brasile insieme all’India e agli Stati Uniti ha fondato l’International Biofuels Alliance che vede come unico paese europeo coinvolto al momento proprio l’Italia.
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L’idea è realizzare energia da prodotti agricoli il cui processo contribuisce a produrre cibo per allevamento animale, molto più proteico. “Con le proteine e le fibre si crea mangime animale, mentre con il resto si produce etanolo. Con questo sistema usiamo 10 ettari per allevare mille capi di bestiame. Prima se ne usavano mille. In questo modo la filiera del bioetanolo non ha scarti e chiude il cerchio della sua catena di produzione”.
Si tratta inoltre di una risposta alternativa all’auto elettrica che Gussi ricorda ha sempre la problematica di come si produce energia alla fonte, in quanto una grossa parte di elettricità viene prodotta ancora dal carbone per contenerne i costi. In questo il Bioetanolo rappresenta la quadratura del cerchio in quanto economico e più pulito rispetto al carbone. “Una rivoluzione per i paesi che si trovano ad affrontare la povertà energetica“ conclude Gussi.
Diminuire le emissioni a partire da allevamenti e tecniche agricole
La ricerca ha fatto enormi passi avanti anche nel contenimento delle emissioni degli allevamenti intensivi come spiega Luiza Bruscato executive director della Brazilian Roundtable on Sustainable Livestock (vedi l’intervista video completa).
Gli studi in merito hanno permesso di ridurre enormemente l’uso di suolo necessaria per gli allevamenti animali e aumentarne la produttività. Inoltre il Paese utilizza un sistema di coltivazione del mangime che nello stesso terreno porta avanti tre tipi di coltivazione differente. Il tavolo nell’ultimo anno ha prodotto un testo di valutazione composto da 35 indicatori che spaziano dalla gestione complessiva, alla tecnologia al marketing, con cui valutare la sostenibilità o meno degli allevamenti. “Si tratta di una pubblicazione che intendiamo aggiornare annualmente” sottolinea a Canale Energia la direttrice esecutiva Bruscato.
Serve una corretta cultura della domanda alimentare
Un ruolo importante lo svolge anche la cultura della domanda alimentare. Riccardo Coratella, direttore generale del Centro Nazionale di Biodiversità sottolinea come oltre all’industria debba cambiare anche la cultura della domanda. una cultura che deve diffondersi per accettare come non si possa mangiare ogni tipo di frutta ogni momento dell’anno, così da abbattere dei costi ambientali di trasporto che sono altrimenti importanti, ad una rinnovata percezione della necessità delle proteine animali.
“Abbiamo dimostrato come la percezione di necessità di proteine sia errata. Basta assumere una volta a settimana carne e pesce per avere l’apporto proteico necessario derivato da tali sostanze”. Per questo rimarca Coratella “bisogna lavorare sulla domanda per ridimensionarla” in quanto oggi “è completamente eccessiva. Basata su una tradizione tramandata nel tempo che è da cambiare”.
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