Il vero prezzo del cibo, tra costi ambientali e sociali

Come costruire un sistema alimentare equo

Una confezione di due hamburger al supermercato costa più o meno quattro euro. Ma se al prezzo base si aggiungesse una compensazione per tutta l’acqua impiegata per produrlo, la deforestazione per creare colture da destinare al foraggio e i problemi legati al benessere animale negli allevamenti intensivi, la cifra finale sarebbe molto più alta.

Nonostante ciò, ogni italiano butta nella spazzatura circa 30 kg di cibo all’anno. Questo avviene perché non abbiamo presente il vero valore degli alimenti che acquistiamo tutti i giorni.

Il tema è stato affrontato nel corso dell’evento “Sistemi alimentari equi: internalizzare i costi ambientali e sociali nel prezzo del cibo”, organizzato all’Università di Bologna nell’ambito del progetto HEU FOODCoST. Il convegno ha riunito stakeholder e specialisti del settore, per identificare nuovi percorsi per attribuire il “vero” prezzo del cibo e renderlo noto a produttori e consumatori.

Perché la filiera alimentare attuale è insostenibile

Il progetto FOODCoST è nato per sostenere la transizione a un sistema alimentare sostenibile. Studiamo il modo per aiutare le aziende a sviluppare delle buone pratiche ambientali e sociali e i policy makers ad adottare delle soluzioni a livello normativo – ha detto Michiel van Galen coordinatore di FOODCoST –. Pensare che l’attuale filiera alimentare sia sostenibile è un errore”.

il vero prezzo del cibo
“Sistemi alimentari equi: internalizzare i costi ambientali e sociali nel prezzo del cibo”

Il problema principale è che il prezzo di mercato non rispecchia il costo ambientale e sociale dei prodotti, e ciò non incentiva i consumatori a operare una scelta etica. Da questo derivano numerosi problemi: il primo tra tutti, la salute dei consumatori. Una filiera che non privilegia la qualità dei prodotti può avere effetti indesiderati sulla condizione fisica delle persone. Senza contare, che i cibi più economici sono anche quelli che tendono a deperire più in fretta, aumentando lo spreco alimentare.

Un altro problema è la distribuzione non equa delle risorse alimentari. I cibi migliori tendenzialmente sono anche i più costosi, e quindi a disposizione di pochi. Infine, una produzione non rispettosa delle circostanze ambientali può avere delle conseguenze devastanti in un futuro neanche troppo lontano.

Informazione e trasparenza per chiarire il vero prezzo del cibo

Uno dei motivi per cui sprechiamo tanto cibo è che non ne conosciamo il vero valore. Per evitare di buttare nella spazzatura chili e chili di alimenti ogni anno è importante aumentare la consapevolezza dei consumatori”, ha spiegato Andrea Segrè, professore dell’Università di Bologna. “Necessitiamo di trasparenza da parte delle aziende per aiutare gli acquirenti a fare delle scelte informate, e anche i governi, con delle politiche ad hoc dovrebbero incoraggiare gli acquisti etici. Allo stesso tempo, però, bisogna fare in modo che tali opzioni siano accessibili a tutti, e non solo alle classi più agiate”.

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Evento “Sistemi alimentari equi: internalizzare i costi ambientali e sociali nel prezzo del cibo”

A ciascun prodotto la giusta etichetta

Tra le opzioni per indurre i consumatori a fare una scelta informata negli acquisti, i relatori hanno proposto un’etichettatura che rispecchi il grado di sostenibilità del prodotto. “Quando andiamo al supermercato ci mettiamo circa 20 secondi a scegliere cosa acquistare – ha detto Daniele Rossi di Confagricoltura –. È quindi importante rendere il più semplice e chiara possibile la scelta “sostenibile” ai clienti”.

Otto cittadini europei su dieci sono d’accordo sul fatto che il prezzo degli alimenti debba rispecchiare il costo sociale e ambientale degli stessi. Ciò dimostra che le persone hanno interesse a modificare il proprio comportamento per motivi etici, bisogna però fare in modo che l’opzione più sostenibile sia anche quella più semplice e immediata”, ha aggiunto Luisa Crisigiovanni di Altroconsumo.

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Ciò, naturalmente, implica un certo grado di trasparenza da parte delle aziende. “La comunicazione è la chiave. Noi produttori dobbiamo rendere pubblici i dati sull’impatto sociale e ambientale degli alimenti della nostra filiera. Molte aziende già lo fanno, ma nell’ottica della brand reputation. Invece, deve diventare un modo per cooperare con i consumatori”, ha aggiunto Giorgio Alberani di Fruttagel.

I consumatori sono diventati sempre più distanti dalla filiera alimentare. Non conosciamo il modo in cui il cibo è prodotto. Ma abbiamo il diritto di saperlo, così come ce l’hanno anche i policy makers hanno per adottare delle soluzioni in merito”, ha concluso Nick Jacobs di IPES-Food.

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Nata a Roma, laureata in relazioni internazionali e giornalista professionista. Interessata all’ambiente, alla transizione ecologica e al mondo che cambia, sempre con un occhio ai social network.