- Il ddl proposto dal Ministro Lollobrigida pone un freno allo sviluppo di carne coltivata in Italia.
- “È sbagliato definirla sintetica. È prodotta in un ambiente molto più sicuro di un allevamento intensivo”, è il commento di Chiara Caprio di Essere Animali.
- “Così si chiudono le porte del Paese al progresso e alla transizione verso un sistema alimentare più sostenibile”, è l’opinione di Martina Pluda di Humane Society International.
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ha approvato il 28 marzo un disegno di legge che introduce disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi “sintetici”. “Nel rispetto del principio di precauzione – si legge nel comunicato stampa del governo – le norme intendono tutelare la salute umana e il patrimonio agroalimentare”. Il divieto comprende sia gli alimenti destinati al consumo umano sia i mangimi animali.
Che cos’è la carne coltivata
Il ddl vieta quindi la produzione, ma teoricamente non l’importazione, di carne coltivata in Italia. Di che cosa si tratta esattamente? “La carne coltivata è carne a tutti gli effetti. L’aggettivo ‘sintetica’ è assolutamente fuorviante, utilizzato in ottica propagandistica”, spiega Chiara Caprio, responsabile media e relazioni istituzionali di Essere Animali. “Si tratta di un prodotto realizzato a partire da un piccolo prelievo di tessuto da un animale vivo. Vengono isolate le cellule staminali che, successivamente, vengono fatte crescere fino a diventare un vero e proprio tessuto muscolare. In un ambiente sterile, molto più controllato di un allevamento intensivo, e senza l’uso di antibiotici”.
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— Essere Animali (@EssereAnimali) April 1, 2023
Dove la si può trovare
Negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration ha espresso un parere favorevole riguardo alla carne di pollo coltivata di Upside Foods, una startup californiana, dopo aver effettuato verifiche molto stringenti. È possibile trovare articoli simili anche a Singapore e in Israele. L’Unione europea, segnala Caprio, ha finanziato delle ricerche specifiche nell’ambito della carne coltivata. E persino in Italia c’è un’azienda che sta investendo nel settore, la trentina Bruno Cell. Nonostante ci siano anche aziende italiane desiderose di aprirsi alla novità – gli stessi produttori di carne potrebbero essere interessati a farlo, proprio come sta accadendo oltreoceano –, il nostro governo ha previsto addirittura delle sanzioni in caso di violazione delle norme. Che vanno da un minimo di 10mila euro a un massimo di 60mila, insieme alla confisca del prodotto illecito.
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Qual è il ruolo dei consumatori
“Penso che quella del governo sia una misura molto miope, che chiude le porte dell’Italia al progresso e alla transizione verso un sistema alimentare più sostenibile”, aggiunge Martina Pluda, direttrice della divisione italiana di Humane Society International. “Insieme alla proposta di legge per vietare l’uso di termini come hamburger o salsiccia per riferirsi ai prodotti a base vegetale, è un provvedimento che cerca di contrastare quello che è un settore fondamentale per permettere ai consumatori di agire in maniera molto più sostenibile e per ridurre l’impatto dell’allevamento intensivo sull’ambiente, sulle vite di miliardi di animali e sulla nostra salute. Sono misure che giocano a favore dell’industria della carne, della zootecnia. Quella stessa industria che ha interdetto, nell’ultimo report dell’IPCC, la dicitura riguardo alla necessità di effettuare una transizione a sistemi alimentari a base vegetale”, conclude Pluda.
Come ridurre l’impatto degli allevamenti intensivi
Sappiamo bene ormai quali sono le conseguenze degli allevamenti intensivi sul benessere degli animali, sull’ambiente, sul clima e sulla nostra salute. Stando ai dati di Greenpeace, in Italia sono la seconda causa di formazione del particolato fine (responsabili di quasi il 17% del PM2,5), più dei trasporti (14%) e del settore industriale (10%), preceduti solo dagli impianti di riscaldamento (37%).
“Sappiamo che ci sono miliardi di animali ammassati all’interno di strutture che presentano condizioni igieniche precarie, suinetti e galline che vengono mutilati; polli che, per via della selezione genetica, non riescono neppure a reggersi sulle zampe”, continua Chiara Caprio. “Al di là dei consumi energetici legati alla produzione di carne in vitro, uno studio della Commissione europea ha dimostrato che, se tutta la carne prodotta nell’UE venisse rimpiazzata da quella coltivata, si avrebbe un calo drastico delle emissioni di gas serra e una diminuzione ingente del consumo di suolo e di acqua”. La speranza è che le Commissioni che dovranno esaminare il ddl prima di garantirne l’entrata in vigore avranno l’accortezza di tenere in considerazione tutti questi aspetti.
Nel frattempo, non dimentichiamoci della Pasqua imminente: Essere Animali ha raccolto nuove testimonianze riguardo al trasporto di agnelli dall’Est Europa, dimostrando ancora una volta la presenza di gravi irregolarità. Fra gli altri obiettivi dell’organizzazione ci sono lo stop all’utilizzo delle gabbie negli allevamenti, con la campagna #EndTheCageAge, e la tutela dei pesci allevati a scopo alimentare.
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