Negli ultimi anni si sono imposte pratiche convenzionali di coltivazione del terreno che hanno provocato un peggioramento della salute del suolo. La terra ha perso la capacità di fornire servizi ecosistemici essenziali al mantenimento della salute dell’agro-ecosistema. La maggiore frequenza di fenomeni meteorologici estremi ha imposto negli ultimi anni un ripensamento delle tecniche di gestione dell’acqua e del suolo e un efficientamento dell’uso dell’azoto, tra i responsabili dell’impronta carbonica (Gwp-Global warming potenzial). In estrema sintesi, ricercatori e agricoltori stanno provando a massimizzare le rese agricole minimizzando gli impatti ambientali.
Il progetto Cabios
Va in questa direzione il progetto Cabios, acronimo per Conservation agriculture and bioenergy buffer strips for water and soil quality improvement, promosso dal Dipartimento di Scienze delle produzioni vegetali sostenibili dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza insieme a quattro aziende agricole piacentine consorziate per la produzione di biogas. Rientra nel programma di sviluppo rurale dell’Emilia Romagna 2014-2020 e si concluderà ufficialmente il prossimo 31 gennaio. In due anni e mezzo di sperimentazione e analisi, i ricercatori hanno combinato le tecniche triennali di agricoltura conservativa con colture di copertura alle fasce tampone bioenergetiche con miscanto. Si sono prefissi alcuni obiettivi specifici: abbassare il consumo di diesel per la semina, ottimizzare la concimazione azotata, incrementare la quantità di sostanza organica nel suolo, ridurre gli erbicidi usati ed efficientare l’uso e la qualità delle acque, raccogliere la biomassa prodotta.
Le fasce tampone bioenergetiche di contrasto ai nitrati sono obbligatorie in molti dei canali dell’Emilia Romagna. Seguono le linee del paesaggio senza sottrarre terra alle coltivazioni. Prevedono di far crescere le erbe naturali, sia di tipo erbaceo che filari alberati, e hanno la capacità di contenere l’inquinamento dei nitrati superficiali o dei nitrati che vengono lisciviati nella soluzione circolante e arrivano alla falda o ai canali idrici.
I risultati
I risultati dei campionamenti condotti nel progetto sono stati presentati lo scorso venerdì da uno dei ricercatori, Andrea Ferrarini, in un webinar dedicato. Il miscanto ha mostrato una capacità di contenimento del flusso dei nitrati buona e dei pesticidi ottima sin dal secondo anno di coltivazione, quindi anzitempo. Nei terreni argillosi e limonosi è stata misurata sin dal primo anno. Il confronto dei dati riguardanti l’agricoltura tradizionale e conservativa ha mostrato un aumento significativo della qualità del suolo e dell’acqua. L’attività microbica è risultata essere maggiore con una capacità di degradazione dei pesticidi più elevata. Inoltre, le pratiche di gestione conservativa hanno favorito la formazione di azoto sotto forma di nitrato.
I risultati, come evidenziato da Ferrarini, sono stati differenti a seconda del tipo di suolo analizzato: franco, franco limoso e argilloso-limoso. Per efficientare l’uso e la qualità dell’acqua, la subirrigazione, che garantisce un aumento del 30% nell’efficienza d’uso dell’acqua irrigua, non è sufficiente: occorre avere una gestione intelligente a seconda del tipo di suolo irrigato. “Il risparmio di acqua grazie alla subirrigazione è cosa nota. Con sonde o dati telerilevati l’efficienza è sicuramente maggiore. Ad esempio, è più efficiente in terreni con un alto contenuto d’argilla. E non incide la profondità del terreno ma la distanza tra manichette”. In condizioni estreme, commenta, nessuna metodologia di coltura del terreno è salvifica. Certo, il decremento del 30% dei costi energetici dovuto alla combinazione di queste tecniche innovative fa ben sperare. E il calo del 4% dell’impronta carbonica dell’intera filiera è un buon primo passo.
Nel lungo termine i ricercatori confidano che l’uso delle colture di copertura e l’introduzione del miscanto in fascia tampone aiutino in maniera considerevole la lisciviazione dei nitrati e aumentino la quantità di carbonio atmosferico sequestrato nel suolo sotto forma di C organico. Inoltre, il monitoraggio dei corpi idrici con l’installazione di un dispositivo sperimentale per la raccolta della qualità dell’acqua e del suolo può essere un primo step verso l’applicazione dell’IoT all’agricoltura. Per benefici tangibili, rimarca Ferrarini, bisogna prendere in considerazione tecniche di telerilevamento per la subirrigazione e il risparmio energetico.
Un set di indicatori per la diffusione di pratiche innovative
La costruzione di un set di indicatori ha permesso di divulgare i risultati e non si esclude che, la loro condivisione tra gli addetti ai lavori, possa favorire i piccoli imprenditori, che ad oggi hanno maggiori difficoltà di investimento. “Questi macchinari non sono a disposizione degli agricoltori di piccola fascia. I progetti universitari li aiutano a conoscere queste nuove tecniche”, prosegue Ferrarini. Anche qui c’è margine largo per l’implementazione dei dettami di economia circolare: con biomasse sfruttabili per la produzione di energia e biogas per l’alimentazione dei mezzi agricoli o ancora l’uso del digestato come fertilizzante.
Attenzione al glifosato
Unica nota dolente di questa sperimentazione è l’uso di glifosato, cosa di non poco conto. È maggiore rispetto alla coltura tradizionale ma sempre sotto i limiti di legge, precisa Ferrarini. E dunque se i benefici relativi alla capacità di contenimento della lisciviazione e dei nitrati sono indubbi, resta qualche remora sull’uso del glifosato.
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