- 188 governi hanno firmato il Global Biodiversity Framework alla conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (Cop 15), tenutasi dal 7 al 19 dicembre in Canada.
- Fra gli obiettivi, l’accordo stabilisce di arrivare a proteggere il 30 per cento delle terre emerse e degli oceani entro il 2030.
- Il commento dell’Ispra.
“Accordo di Parigi per la biodiversità”. Qualcuno ha usato queste parole per descrivere il Global Biodiversity Framework, paragonandolo al famoso trattato sul clima del 2015. Raggiunta dopo sette anni, questa nuova intesa può senz’altro essere considerata come una svolta storica per la tutela della natura. Il documento è stato approvato il 19 dicembre 2022 dai rappresentanti di 188 Paesi riunitisi nella città canadese di Montréal in occasione della Cop 15, la conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità che, in origine, si sarebbe dovuta svolgere in Cina.
“Non è facile conciliare le necessità di tanti Paesi diversi. E lo è ancor meno in un clima come quello attuale, con la guerra in Ucraina e gli strascichi della pandemia. Tant’è che ci si aspettava questo accordo già nel 2020. È comunque il migliore che si potesse ottenere in questa fase”, commenta Lorenzo Ciccarese, responsabile dell’Area per la conservazione delle specie e degli habitat e per la gestione sostenibile delle aree agricole e forestali presso l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
Gli obiettivi del testo redatto alla Cop 15
L’accordo fissa quattro obiettivi principali da raggiungere entro il 2050; ognuno di essi prevede però delle tappe nel 2030, 23 “target” intermedi. “Alcuni riguardano la conservazione della natura su base territoriale, dal ripristino degli ecosistemi alla creazione delle aree protette. Poi è prevista una serie di attività per la conservazione delle singole specie”, prosegue Ciccarese, di ritorno dal Canada.
Molte organizzazioni ambientaliste hanno accolto con entusiasmo l’intenzione di aumentare le aree protette: il target prevede infatti, di arrivare a proteggere almeno il 30 per cento del Pianeta – dagli oceani alla terraferma – entro il 2030. Si tratterebbe di un risultato davvero significativo. Un altro punto importante dell’accordo riguarda la progressiva eliminazione dei sussidi che danneggiano la biodiversità.
Le strategie per arrestare il declino della biodiversità
“Va detto che l’architettura di questo trattato si basa sui risultati del Global Assessment Report dell’Ipbes, organismo di cui sono il rappresentante nazionale. Nel 2019, questo rapporto ha rivelato che un quarto delle specie conosciute – vale a dire, circa un milione – rischia l’estinzione”. Sono cinque, secondo l’Ipbes, le cause principali di quella che molti scienziati hanno definito “sesta estinzione di massa”: la distruzione degli habitat, lo sfruttamento eccessivo delle risorse biologiche, l’inquinamento, i cambiamenti climatici e la diffusione di specie aliene invasive.
Al di là dei target volti a contrastare queste cinque problematiche, ce ne sono altri che riguardano l’integrazione dei valori della natura all’interno dei processi produttivi. “Attività come l’agricoltura, la pesca e il turismo contribuiscono al declino della biodiversità. Per questo, è importante integrare i valori del mondo naturale nelle politiche economiche. Bisogna cercare, prima di tutto, di ridurre le pressioni sulla biodiversità, mitigando l’impatto ambientale di ogni progetto e compensando gli effetti che non si possono evitare. Bisogna quantificare i benefici derivanti dalla natura, da quelli tangibili a quelli culturali, spirituali, edonistici”, continua il ricercatore dell’Ispra.
UN Biodiversity #COP15 achieved a “Paris moment” for the world’s animal and plant life.
The agreement clinched today protects biodiversity and bolsters efforts to safeguard the world’s climate.
But governments alone cannot solve the climate and biodiversity crisis.
— UN Climate Change (@UNFCCC) December 19, 2022
La riduzione dello spreco alimentare
Fra i punti deboli del trattato si potrebbe annoverare il fatto che non citi esplicitamente la necessità di ridurre i consumi. Va detto, però, che i governi firmatari del documento sono invitati a incoraggiare i consumatori a compiere delle scelte più sostenibili, e che si insiste sulla necessità di porre un freno allo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali. C’è poi l’intenzione a dimezzare lo spreco alimentare. “Dato che l’agricoltura incide pesantemente sulla perdita di biodiversità, ridurre il consumo di suolo e gli sprechi – e diminuire l’utilizzo di fertilizzanti – è un passo importante per salvaguardare gli ecosistemi”, chiarisce Lorenzo Ciccarese.
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Il ruolo dei governi nazionali
Anche il fatto che il Framework non sia vincolante desta particolare preoccupazione, insieme alla possibilità che i tempi di attuazione possano risultare più lunghi del previsto. La responsabilità è nelle mani dei singoli governi nazionali. “C’è un altro documento molto importante che riguarda il monitoraggio e la revisione degli obiettivi. Ogni Paese deve seguire uno schema condiviso. In Italia vantiamo degli strumenti già collaudati, come il reporting delle aree protette. Possiamo fare affidamento sull’osservazione satellitare, su tecniche avanzate per valutare lo stato di conservazione degli habitat e delle specie. C’è bisogno però di condividere le tecnologie, specialmente con i Paesi in via di sviluppo”.
A #Montreal si è chiusa la COP15 sulla #biodiversità
L’accordo globale raggiunto dovrebbe impegnare i Paesi ad arrestare la perdita di biodiversità entro il 2030
Ma per il #WWF troppi passaggi importanti sono lasciati alla discrezione dei singoli paesihttps://t.co/FUEGn2heM8— wwfitalia (@WWFitalia) December 19, 2022
Il potere dei popoli indigeni
Concludendo, Ciccarese dice di essere ottimista e racconta di come l’applauso che ha seguito l’approvazione dell’accordo sia stato molto emozionante, così come la stretta di mano finale fra i Ministri dell’Ambiente della Cina e della Repubblica Democratica del Congo, nazione che aveva fortemente criticato il testo.
Un’ultima cosa che fa ben sperare è che viene riconosciuto il ruolo delle popolazioni indigene nella salvaguardia degli ecosistemi. Soltanto loro possono insegnarci a vivere in armonia con le altre specie, e a rispettare il Pianeta che ci ospita. Nel 2024, alla prossima conferenza, speriamo di poter dire di aver imparato qualcosa.
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