Individuare strumenti adatti per coinvolgere i cittadini nella protezione del clima. Questo l’obiettivo dell’incontro “Rivoluzione ambientale: dal Patto europeo per il clima gli strumenti per i cittadini”che si è svolto ieri allo Spazio Europa, presso l’ufficio di rappresentanza della Commissione UE a Roma. La giornata è stata organizzata da Alleanza per il Clima Italia, coordinatore nazionale del Patto Europeo per il Clima, in partnership con EuCliPa.IT. Un workshop di sviluppo delle competenze, destinato agli ambasciatori italiani per il clima.
Sarebbe stato bello vedere la sala gremita, piuttosto che una platea ristretta. Tanto più che il momento è preoccupante per la salvaguardia ambientale di un pianeta sotto attacco. Peccato, perché il workshop è stato pieno di spunti interessanti. I destinatari del community building sono gli ambasciatori del Climate Pact Italia; lo scopo è creare legami e sinergie verso azioni comuni. Si tratta di un gruppo di cittadini di diversa estrazione che vengono selezionati attraverso un bando pubblico e che dedicano parte della loro attività in iniziative di contrasto ai cambiamenti climatici.
“L’evento di oggi si rivolge alla Pact Community, quindi a tutto il gruppo degli ambasciatori del Climate Pact in Italia. L’idea è di rafforzare legami e creare sinergie tra tutti gli ambasciatori, in modo che vengano a conoscenza di attività utili al proprio ruolo di ambasciatore, e cioè supportare la commissione UE nella diffusione nazionale del Patto. Gli ultimi ambasciatori sono stati nominati di recente. In Italia sono circa 125 e vengono selezionati attraverso un bando pubblico. Si candidano e poi la Commissione li seleziona”, spiega ai microfoni di Canale Energia Maria Guerrieri, rappresentante di Alleanza per il Clima Italia.
Il workshop avrebbe certamente interessato anche un pubblico più ampio di studenti, ricercatori universitari e pianificatori ambientali. “Questo Spazio Europa dedicato ai giovani è sato inaugurato il 13 febbraio 2009 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano”, si legge sulla targa nella Hall principale.
Quali sono, dunque, gli strumenti in grado di catalizzare l’azione? Ad esempio, tecniche di comunicazione visiva come la Photostory, un metodo utile per individuare luoghi e per proporre soluzioni tramite una documentazione fotografica comprensiva di descrizioni e proposte. La prima parte del workshop è incentrata sull’illustrare questo tipo di strumenti di comunicazione.
Ma è la sezione pomeridiana quella che più entra nel vivo delle problematiche relative all’adattamento climatico e al nuovo Regolamento UE sul Ripristino della Natura, toccando temi legati all’impatto sugli ecosistemi e sulle società umane, nonché le aree dove concentrarsi per sensibilizzare cittadini e istituzioni.
Nature Restoration Law: un pilastro della strategia climatica
“Ritengo sia una delle più importanti normative prodotte all’epoca del Green Deal. La legge è stata proposta dall’allora Commissario all’ambiente, il lituano Virginius Sinkevicius, che ha proposto la normativa per superare i problemi della crisi climatica, ecologica e per il ripristino di una biodiversità a rischio”, ha spiegato alla platea Giuseppe D’Ippolito, giurista e membro del Comitato Scientifico di EuCliPa.IT
La proposta di Regolamento UE non ha avuto iter semplice. Già nel luglio 2023 era passata per un soffio al Parlamento, poiché l’ambito di applicazione è così vasto da indurre molti Paesi, tra cui l’Italia, a ritenere che potesse avere conseguenze su industria e agricoltura. Alla fine, però, la Legge è stata approvata a giugno 2024 a ridosso delle elezioni europee. Il che non è un dettaglio, poiché se non fosse passata la legislatura uscente, l’intero iter avrebbe dovuto essere ripetuto. Sta di fatto che nel giugno 2024 si è arrivati alla discussione in Consiglio con la prospettiva di bocciatura, viste le dichiarazioni preliminari di molti stati. In sede di votazione, però, l’allora ministra dell’ambiente austriaca ha deciso di modificare la propria preferenza, in voto favorevole. Così, con sorpresa di tutti, la legge alla fine è passata.
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E’ stata definita una “rivoluzione”, ma è necessario capire in che contesto si inserisce il Referendum. Secondo alcuni, la situazione degli ecosistemi si preconizza come la “sesta estinzione di massa”. Studi scientifici confermano che negli ultimi decenni si è verificata una drastica riduzione della biodiversità. I serbatoi di carbonio, come le foreste e gli oceani, hanno assorbito CO2 dalle 3,5 alle 6 volte in meno rispetto ai livelli normali.
A fronte di questi rischi, il Regolamento si pone la finalità generale di:
- migliorare la qualità di acqua e aria
- aumentare la resilienza degli ecosistemi
- favorire attività economiche sostenibili
- ripristinare foreste, ecosistemi agricoli, zone umide e aree marine
Quindi lo scope riguarda uno spettro vastissimo, praticamente ogni angolazione che circonda la vita dell’uomo. In questo senso Giuseppe d’Ippolito definisce il Regolamento come la legge più importante del Green Deal.
L’obiettivo generale della legge è molto ambizioso: entro il 2030 gli Stati membri sono tenuti a ripristinare almeno il 20% delle superfici terrestri e marine dell’UE, e questa percentuale andrà ad espandersi entro il 2050. Bisognerà partire dai siti Natura 2000 (la più ampia zona protetta del pianeta) per poi andare a toccare gli habitat in cattive condizioni, in vista del ripristino. Gli Stati dovranno adoperarsi per prevenire il deterioramento delle zone ripristinate.
La Legge è molto dettagliata, con 28 articoli e una serie di allegati che prevedono le ipotesi di intervento e applicazione dei principi. C’è una parte prescrittiva e una parte tecnico-scientifica (i sette allegati) dove sono inserite le specifiche da raggiungere, partendo da una situazione molto precaria.
Cambiamenti climatici e il ciclo dell’acqua
“Quest’anno mi sono posto l’obiettivo di fare un quaderno sull’acqua rivolto ai cittadini. Arrivo a questa decisione perché mi sono confrontato con alcuni colleghi su quest’idea e mi è stato detto che ce ne era bisogno, perché c’è uno scollamento significativo con la percezione pubblica del problema”. Così esordisce nel suo intervento Gianni Tartari, esperto di politiche sociali e ambasciatore del Patto per il Clima.
Diversi studi recenti attestano che i cambiamenti climatici stanno esacerbando la pressione sui corpi idrici e sul ciclo dell’acqua. Di tutta l’acqua che c’è sulla terra, solo il 3% è acqua dolce. E di questo 3% soltanto dieci volte in meno è acqua superficiale, cioè lo 0,3%. Per il resto si tratta di acque sotterranee e di acque di lago, non di fiume.
“E’ banale, perché il tempo di ricambio di un fiume è velocissimo, mentre il ricambio di un lago può essere anche di centinaia di anni. Ci mettono 800 anni i laghi a rimescolarsi”, continua Tartari.
Ma tutto ciò va inquadrato in un contesto più generale: e cioè nel concetto dei limiti planetari proposto da diversi scienziati dal 2009 a oggi, tra cui Johan Rockström et al, che hanno ideato un sistema di classificazione di nove componenti cruciali, superate le quali non c’è più possibilità di tornare indietro. Oltre ai cambiamenti climatici, sono ben due le componenti che hanno a che fare con l’acqua: gli oceani e le acque dolci.
“Troppa acqua o poca acqua?”, chiede a bruciapelo l’ambasciatore del Climate Pact Italia, “Ve lo dico subito: il problema è la poca acqua. Non moriremo perché arriveremo a 50 gradi medi giornalieri, ma moriremo molto prima perché l’acqua non ci sarà più”. Passa quindi a citare i dati di uno studio uscito a gennaio su Le Scienze: l’acqua dolce sulla Terra è diminuita bruscamente tra il 2014 e il 2016. Dal 2015 al 2023 la quantità media immagazzinata è stata inferiore di 1200 km3 rispetto ai livelli medi dal 2002 al 2014. Il che si traduce in -1.28% di acqua disponibile sulla terra.
Dalle inondazioni alla siccità, dall’acidificazione degli oceani all’innalzamento del livello dei mari, si prevede che gli impatti dei cambiamenti climatici sul ciclo dell’acqua si intensificheranno nei prossimi anni. La freccia della sensibilizzazione e della chiamata all’azione deve dunque puntare su questo aspetto preoccupante (coadiuvato anche dai satelliti della NASA), che a parere degli ambasciatori del Patto per il Clima non viene percepito come una minaccia incalzante.
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