Desertificazione avanza ma è “problema ancora poco considerato”

Intervista a Anna Luise, corrispondente tecnico-scientifico della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione e associata Ispra

InItalia è allarme desertificazione. Secondo i dati dell’Ispra, più del 17% del suolo italiano è degradato e a rischio di desertificazione. Non dobbiamo dimenticare che la degradazione del suolo riduce la biodiversità e i servizi degli ecosistemi, con effetti negativi sull’approvvigionamento di acqua potabile e sulla produzione alimentare, sulla cattura del carbonio e sulla protezione dai processi di erosione. Ecosistemi in buona salute riducono i rischi derivanti da fenomeni idrologici estremi, come dissesti, inondazioni e alluvioni. Per tali ragioni, essendo il suolo una risorsa finita, non rinnovabile, e che i processi di degrado non si stanno arrestando ma si aggravano, è fondamentale promuoverne la salubrità.

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Foto di Adrian Mag su Unsplash.

Sul quadro attuale, sulle prospettive e sulle strategie da mettere in campo, Canale Energia ne ha parlato con Anna Luise, corrispondente tecnico-scientifico della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione e associata Ispra.

Le aree interessate dal fenomeno della desertificazione si distribuiscono lungo tutta la nostra penisola: qual è la fotografia attuale?

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Anna Luise, corrispondente tecnico-scientifico della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione e associata Ispra.

I segnali che abbiamo su tutto il territorio nazionale è che il degrado del suolo avanza, ma è un problema poco considerato. Ricordiamoci che la desertificazione è il livello estremo di degrado, quando cioè il suolo perde qualsiasi capacità di produttività biologica e anche economica, soprattutto per le aree agricole. Un suolo che non produce non dà neanche reddito, nel caso in cui provenga dall’agricoltura. Non è facile avere una mappatura precisa di tutti i fenomeni associati, sono vari e assumono localmente  forme e dimensioni diverse. Ispra da tempo produce mappature ricavate dai dati, soprattutto da quelli derivati dall’osservazione della Terra.

Stiamo ora lavorando a un progetto europeo per cercare di realizzare una mappa più accurata e con metodologie innovative. Comunque, dobbiamo essere consapevoli che oltre alle regioni tradizionalmente più soggette al fenomeno, parliamo di Sicilia, Sardegna, più in generale delle aree meridionali, segnali di degrado estremo e di desertificazione sono presenti anche al centro nord, come in Veneto, Piemonte, Liguria, ma non solo. Lo abbiamo rilevato seguendo gli indicatori della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione che sono lo stato attuale e il trend di uso del suolo e dei cambiamenti, del contenuto di carbonio organico e della produttività, associando altre misure come erosione, frammentazione, impermeabilizzazione, tra le altre, che rilevano in modo indiretto lo stato della salute.

Consumo di suolo e stress idrico rappresentano un fattore di rischio crescente?

La complessità nel rilevare la desertificazione è data dal fatto che si tratta di un fenomeno complesso, si manifesta in modalità molto diverse a seconda delle condizioni ambientali, geografiche, di struttura del territorio e del suolo e del tipo di ecosistemi. Sono fattori estremamente connessi tra loro, a cui si associa il cambiamento climatico che avanza, variando la disponibilità idrica, causando la crescita della siccità e determinando così l’aumento dell’aridità che rende improduttivo il suolo. E come dicevamo, a sua volta, il suolo improduttivo non riesce a stoccare l’anidride carbonica e dunque non contribuisce a mitigare i cambiamenti climatici indotti dall’aumento della CO2. Un circolo vizioso di cause ed effetti negativi.

Inoltre, se per consumo di suolo intendiamo l’impermeabilizzazione dei terreni nelle aree urbane, ovviamente la sua crescita ha effetti devastanti, perché tomba le sue funzioni vitali nella zona specifica. Il problema è che coinvolge anche le aree circostanti, tipicamente quelle intorno agli insediamenti urbani. E su questo tema, attualmente, a livello internazionale, si sta lavorando proprio sulle relazioni tra rurale e urbano. È un fenomeno che noi osserviamo direttamente, poiché le nostre città sono più integrate con il territorio, con la campagna, che diventa drammatico nelle aree urbane e periurbane nei Paesi in via di sviluppo. Il consumo di suolo è uno dei fattori di aggravamento rilevanti, e lo sono anche tutti quelli che determinano un uso non sostenibile, ossia quelli che non tengono conto della sua risposta biologica nel corso del tempo.

Senza una terra sana, non c’è cibo. La trasformazione del sistema agricolo in chiave agroecologica, con l’inserimento di elementi naturali nelle aree agricole, può essere sufficiente a favorire la conservazione della salute dei suoli?

L’agricoltura di per sé è un fattore di degrado quando non rispetta la sostenibilità delle sue attività. La sostenibilità in agricoltura significa dare regole che salvaguardino i valori ambientali, cosa che in parte la Pac ha fatto con regole ecologiche ma che andrebbe decisamente migliorata. Non sempre però è semplice perché, in taluni casi, si scontra con gli interessi dell’agricoltura industriale, più legata a massimizzare il profitto delle rese agricole e la continuità nel tempo.

L’agroecologica è un concetto assai rilevante a livello internazionale. La Conferenza delle Parti (COP16) della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione, che si è tenuta a dicembre a Riad, in Arabia Saudita, ha introdotto tra i temi di riflessione proprio quello dell’agricoltura. Ma anche dell’innovazione necessaria all’agricoltura per salvaguardarne la sostenibilità.

La desertificazione è certamente aggravata dagli effetti del cambiamento climatico su suoli però già fortemente stressati da un utilizzo non sostenibile. Quali sono le strategie che si possono abilitare, a livello nazionale, per mitigare il livello di degrado?

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Foto di omar amrat su Unsplash.

Purtroppo, il monitoraggio a terra è costoso ed è difficile da tradurre in pratica. Non esiste una vera rete a livello nazionale, abbiamo per lo più esperienze su scala regionale. All’orizzonte c’è la possibilità dell’approvazione di una legge europea sul suolo, la Soil Monitoring Law, con l’ambizione di fornire principi guida per una gestione sostenibile del suolo. Partendo dall’obiettivo di andare verso la promozione della buona salute del suolo, ora si sta arrivando a promuovere reti di monitoraggio che siano in grado di raggiungere il massimo di omogeneità in tutta l’Unione europea, tenendo poi conto che i fenomeni sono diversi su base locale.

Questi sono gli strumenti. L’obiettivo è arrivare a un patto tra le esigenze dell’agricoltura e quelle di sostenibilità ambientale, alla luce degli strumenti di governo che spesso non lo considerano. Senza dimenticare gli interessi locali, altro elemento fondamentale. Ma, sia chiaro, per interessi locali si intendono le comunità, i cittadini, non le esigenze industriali.

Emerge la necessità di adattarsi alle nuove normative europee, come la Nature Restoration Law, entrata in vigore lo scorso agosto. Secondo il vostro recente Atlante dei dati ambientali 2024, il 28% dei comuni italiani dovrà ripristinare le proprie aree urbane a partire dal 2031, percentuale che sale oltre il 40% se si includono anche le aree periurbane. Come si può invertire la rotta?

Dobbiamo imparare a ragionare osservando la complessità delle cose. Il confine comunale non definisce il rapporto tra urbano e non urbano. Si pensi, ad esempio, a Roma Capitale che comprende una vasta area agricola. La capacità di gestire questi sistemi complessi corrisponde all’attitudine di trovare meccanismi che vanno oltre le semplici prerogative amministrative.

Per esempio, così come la Direttiva sulle acque 2000/60/CE ha istituito la definizione dei distretti idrografici, quello che si cercherà di fare con la Soil Monitoring Law è individuare i distretti del suolo, identificando confini che non siano semplicemente amministrativi. Quello che sarebbe necessario è, in sintesi, procedere a una gestione del suolo che riesca a considerare le unità geografiche, le unità ambientali piuttosto che quelle meramente amministrative. Serve capacità di dialogo, superare le competenze delle singole istituzioni, lavorare sul locale e adottare un principio di complessità del fenomeno.

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Freelance nel campo della comunicazione, dell’editoria e videomaker, si occupa di temi legati all’innovazione sostenibile, alla tutela ambientale e alla green economy. Ha collaborato e collabora, a vario titolo, con organizzazioni, emittenti televisive, web–magazine, case editrici e riviste. È autore di saggi e pubblicazioni.