Il grado di incidenza della transizione digitale tra le aziende del settore chimico e farmaceutico è piuttosto eterogeneo. Le tecnologie che hanno l’impatto maggiore in termini di investimenti formativi, oppure necessità di prevedere nuovi ruoli organizzativi, sono il machine learning, l’automazione e robotica e l’internet of things (IoT). Tuttavia, le competenze più rilevanti, in termini di diffusione e livello medio richiesto, sono quelle relative a data analytics, big data per la prevenzione dei rischi, comunicazione digitale e software per il monitoraggio e la manutenzione degli impianti. In larga parte, tali competenze sono richieste a un livello di approfondimento non superiore al problem solving semplice.
Lo rivela il report, con un focus di settore, sulle competenze e i ruoli emergenti per la transizione digitale ed ecologica realizzato dal centro Milan economic impact evaluation center dell’università degli studi di Milano Statale, in collaborazione con Federchimica.
Transizione digitale: sviluppare di più la cultura all’innovazione
In base ai risultati dell’analisi condotta su un campione di 61 aziende, delle quali 45 appartenenti al settore chimico e 16 al settore farmaceutico, quasi la totalità delle aziende ha avviato o vuole avviare programmi formativi interni (95%), mentre meno diffuse sono le partnership con le università (76%) e, ancora meno, quelle con gli istituti tecnici superiori (63%).
I ruoli emergenti o di recente creazione segnalati dalle imprese fanno riferimento principalmente alle seguenti aree di competenza: ruoli con competenze tecnico-scientifiche in ambito di processi produttivi (ad esempio, ingegneri dell’automazione e robotica); ruoli con competenze tecnico-scientifiche in ambito di elaborazione dati (ad esempio, production data analyst, business analytics manager); ruoli con competenze in ambito di nuovi canali di comunicazione e gestione dei clienti (ad esempio, digital campaign manager, e-key account manager); ruoli con competenze specifiche in ambito di gestione del cambiamento e della transizione digitale (ad esempio, innovation leader, digital business partner).
Tra i principali ostacoli alla transizione digitale emergono l’elevata estensione temporale dei progetti, la carenza di competenze interne ed esterne all’azienda e la necessità di sviluppare maggiormente la cultura digitale all’interno dell’organizzazione. Gli ingenti investimenti economici richiesti per l’adozione delle nuove tecnologie sono anch’essi un fattore rilevante, seppur meno decisivo rispetto agli ostacoli elencati in precedenza.
Leggi anche Tavolo sulla moda, transizione ecologica e trasformazione digitale fra le principali sfide
Transizione ecologica: poco diffuse le partnership con università e Its
Anche per le competenze green, la quasi totalità delle aziende ha avviato o vuole avviare programmi formativi interni (97%), mentre meno diffuse sono le partnership con le università (67%) e, ancora meno, quelle con gli Its (56%). I ruoli emergenti per la transizione ecologica, segnalati dalle imprese, fanno riferimento principalmente alle seguenti aree di competenza: ruoli con competenze tecnico-scientifiche in ambito di prodotto (ad esempio, life cycle assessment specialist, specialisti di riciclo e riutilizzo prodotto); ruoli con competenze gestionali (ad esempio, carbon neutrality manager, sustainability manager).
Più in generale, oltre la metà delle aziende ha già adottato iniziative ecologiche relative alla riduzione dei consumi di energia, alla riduzione delle emissioni dirette e indirette in atmosfera e all’utilizzo di materiali riciclabili e/o riutilizzabili. Inoltre, una quota di realtà che non ha ancora introdotto queste iniziative ammette valutare la possibile implementazione. Di contro, la compensazione di emissioni rimanenti tramite acquisto di crediti di carbonio (carbon offsetting) registra livelli di diffusione e di interesse piuttosto contenuti.
Emerge poi un divario consistente tra le grandi e le medio-piccole aziende nell’adozione di tutte le iniziative legate alla transizione ecologica indagate, con una punta del 37% per quanto riguarda la riduzione delle emissioni indirette attraverso fonti rinnovabili (adottata dal 66% delle grandi aziende, contro il 29% delle medio-piccole aziende). L’adozione di azioni virtuose è ampiamente più alta nel comparto chimico rispetto a quanto si registra nel comparto farmaceutico: secondo l’analisi, tale divario è in parte spiegabile dalle diversità strutturali tra i due comparti e dalla natura diversa delle attività svolte.
Leggi anche Transizione energetica e sostenibilità delle imprese
Per ricevere quotidianamente i nostri aggiornamenti su energia e transizione ecologica, basta iscriversi alla nostra newsletter gratuita
e riproduzione totale o parziale in qualunque formato degli articoli presenti sul sito.