È lunedì: è probabile che molti di noi abbiano cominciato la settimana con una bella tazza di caffè, accompagnata magari dalle uova nel caso di una colazione salata. Peccato però che questi due prodotti, insieme al riso bianco e al pesce, sembrino essere correlati a una maggiore quantità di PFAS nel corpo umano.
È quanto scoperto da un gruppo di ricercatori statunitensi che hanno analizzato la composizione del plasma e del latte materno di tremila donne incinte, per poi pubblicare i risultati del loro studio sulla rivista Science of the Total Environment. Hanno riscontrato anche maggiori livelli di PFOS, fra le principali tipologie di PFAS, nell’organismo delle pazienti con i più elevati consumi di carne rossa.
Importante tenere i PFAS fuori dalla catena alimentare
I PFAS, lo ricordiamo, sono sostanze chimiche impiegate in diversi settori, fra cui la moda e l’agricoltura, che inquinano l’ambiente per anni e che, come riporta l’European Environment Agency, “possono avere effetti negativi sulla salute come danni al fegato, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità e cancro”.
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“I risultati ottenuti indicano la necessità di tenere i PFAS fuori dall’ambiente e dalla catena alimentare”, ha commentato la dottoressa Megan Romano, ricercatrice del Dartmouth College e principale autrice dello studio. “Ora ci troviamo in una situazione in cui sono ovunque e rimarranno anche se adottiamo misure correttive aggressive”.
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I rischi e le possibili contromisure
L’inquinamento dei terreni agricoli e delle falde acquifere può contribuire alla contaminazione degli alimenti, così come l’acqua o le pentole antiaderenti impiegate per cuocerli. Le sostanze chimiche possono risalire la catena alimentare anche attraverso i mangimi e i fanghi di depurazione impiegati come fertilizzanti.
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L’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (United States Environmental Protection Agency, EPA) ha introdotto, nel mese di aprile, dei limiti legalmente vincolanti per ridurre la presenza di sei tipologie di PFAS nelle acque potabili: una decisione “storica”, secondo molti attivisti. Greenpeace Italia chiede che il governo italiano segua l’esempio di quello statunitense, adottando una legge che vieti l’utilizzo di queste pericolose sostanze a livello nazionale.
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