Ammonterebbero a 922 i pellegrini musulmani, prevalentemente di origine egiziana, che hanno perso la vita durante l’annuale pellegrinaggio alla Mecca, noto come Hajj, a causa dell’ondata di caldo che ha colpito l’Arabia Saudita. È la cifra segnalata dal quotidiano francese Le Monde, che riporta le stime dell’agenza di stampa AFP. Ci sono anche migliaia di persone ricoverate negli ospedali, stremate dalle temperature che hanno raggiunto i 51,8 gradi Celsius.
Death toll from heat at hajj pilgrimage in Saudi Arabia passes 900 https://t.co/VpSEMTpCVd
— Le Monde in English (@LeMonde_EN) June 20, 2024
L’Hajj è uno dei cinque pilastri dell’Islam e ogni musulmano che disponga di sufficienti risorse economiche dovrebbe compierlo almeno una volta nella vita. Si stima che quest’anno sia stato intrapreso da circa 1,8 milioni di persone provenienti da tutto il mondo, fra cui molti anziani.
Caldo estremo, quali sono i rischi per la salute
Un mix di caldo record e polvere sahariana interesserà da oggi a venerdì anche diverse aree dell’Italia: sebbene non ci si aspetti una situazione simile a quella dell’Arabia Saudita, le temperature potranno superare anche di dodici gradi la media del periodo.
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La Società italiana di medicina ambientale (SIMA) invita alla massima attenzione sul fronte sanitario, avvertendo che le temperature estreme possono provocare disturbi lievi come crampi, svenimenti, edemi, ma anche problemi gravi, dalla congestione alla disidratazione, aggravando le condizioni di salute di persone con patologie croniche preesistenti.
“Le ondate di calore e di polvere sahariana non sono certo fenomeni nuovi in Italia, ma preoccupa il forte aumento della loro frequenza e della loro intensità, un effetto diretto del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici che va monitorato con attenzione, perché impatta in modo diretto sull’ambiente e sulla salute pubblica”, spiega il presidente, Alessandro Miani.
L’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla mortalità infantile
Uno studio del 2015 ha evidenziato che i bambini esposti alle polveri sahariane presentano un rischio maggiore del 20 per cento di sviluppare infezioni respiratorie rispetto a quelli non esposti. I bambini trascorrono mediamente più tempo all’aperto rispetto agli adulti e i loro sistemi respiratori e immunitari sono ancora in via di sviluppo.
Questo è anche il motivo per cui l’inquinamento atmosferico rappresenta una grave minaccia per i più piccoli: nel 2021, ha causato 8,1 milioni di vittime a livello globale e più di 700mila decessi di bambini al di sotto dei cinque anni, rendendolo il secondo fattore principale di rischio di morte per questa fascia di età, dopo la malnutrizione.
Ben 500mila di questi decessi sono stati collegati all’inquinamento domestico dovuto alla cottura in casa con combustibili inquinanti, soprattutto in Africa e in Asia. È quanto emerge dalla quinta edizione del rapporto “State of Global Air” (SoGA), pubblicata il 19 giugno dall’Health Effects Institute, in collaborazione con l’UNICEF.
Air pollution is the second-leading risk factor for death globally for children under five, after malnutrition.
To save lives, we need to prioritize children’s environmental health and address the sources of air pollution.
New @heisoga report: https://t.co/URhKeiV4bq pic.twitter.com/Bb8gdAmR6S
— UNICEF (@UNICEF) June 19, 2024
Fondamentale adottare programmi di prevenzione
“Questo nuovo rapporto ci ricorda con chiarezza l’impatto significativo che l’inquinamento atmosferico ha sulla salute umana, con un onere troppo elevato a carico dei bambini piccoli, delle popolazioni più anziane e dei Paesi a basso e medio reddito”, commenta Pallavi Pant, responsabile del settore Salute globale dell’HEI, che ha supervisionato la pubblicazione del rapporto SoGA.
“Questo indica chiaramente l’opportunità per le città e i Paesi di considerare la qualità dell’aria e l’inquinamento atmosferico come fattori ad alto rischio quando si sviluppano politiche sanitarie e altri programmi di prevenzione e controllo delle malattie non trasmissibili”.
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L’inquinamento atmosferico da PM2,5 deriva principalmente dall’utilizzo di combustibili fossili che generano anche gas serra e contribuiscono così al riscaldamento globale.
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