L’Unione europea vuole ridurre la produzione di rifiuti tessili e aumentarne i tassi di raccolta e riciclo. Per centrare questi obiettivi, dovrà però accelerare la “definizione di un quadro normativo omogeneo e stabile per il comparto”, messo in crisi dall’aumento dei costi dell’energia e dei trasporti e dal calo delle vendite dei materiali di seconda mano.
È l’allarme lanciato da Andrea Fluttero, presidente di UNIRAU (Unione imprese raccolta riuso e riciclo abbigliamento usato): “Gli sforzi e gli investimenti delle cooperative e delle aziende per creare e mantenere una catena del valore sostenibile e circolare dei rifiuti tessili urbani saranno vani se crollerà la sostenibilità economica della filiera e se si bloccherà la possibilità di esportare l’usato tessile in Paesi che ne sono forti consumatori”.
Rifiuti tessili e abiti usati, il commento di ARIU
Un altro problema è causato dall’aumento della raccolta di fibre non avviabili al riuso, né al riciclo: questi materiali non dovrebbero essere immessi nel sistema di raccolta differenziata dei rifiuti tessili, che in Italia è obbligatorio dal 2022, ma restare nell’indifferenziato.
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“Il sistema italiano fino a oggi si è autofinanziato con i ricavi della valorizzazione delle raccolte, mentre sono ancora limitati i quantitativi avviabili a riciclo di fibra, sia per la scarsa qualità del fast fashion sia per la mancanza degli ecocontributi che saranno generati dai futuri sistemi di EPR, senza i quali il riciclo non è competitivo con le fibre vergini”, aggiunge Joseph Valletti, presidente di ARIU (Associazione recuperatori indumenti usati).
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