Compie 20 anni il Decreto Ronchi, il DLgs n. 22 del 5 febbraio 1997 che ha disciplinato la gestione dei rifiuti in Italia, da quelli speciali a quelli urbani, stabilendo una serie di obblighi a carico degli stakeholder coinvolti. Entrata in vigore a marzo dello stesso anno, in recepimento delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi, rappresenta la legge quadro di riferimento in materia. Nel tempo il decreto si è arricchito di provvedimenti diventando lo scheletro di un sistema sempre più complesso e articolato che continua a mostrare luci e ombre. A presentare la prima legge quadro italiana sulla regolamentazione del settore rifiuti Edo Ronchi, oggi Presidente Fondazione per lo sviluppo sostenibile, allora Ministro dell’Ambiente sotto il governo Prodi. Con lui “soffiamo” queste 20 candeline.
Come si presentava l’Italia del riciclo 20 anni fa?
Nel 1997 l’80% dei rifiuti urbani finivano in discarica e la raccolta differenziata era di circa il 9%. Questo tipo di gestione determinava continui rischi di emergenze e ricordo che a metà anni Novanta erano Milano e il Sud Italia a dover fare i conti con il problema degli scarti urbani. In più non si sapeva come gestire i rifiuti speciali di origine industriale a causa del carente numero di siti di deposito. La convinzione che si andava definendo era legata all’abbandono di questo modello e alla necessità di puntare sull’incenerimento, quale soluzione industriale al problema dei rifiuti urbani. Personalmente ero molto perplesso: da un punto di vista culturale è meglio riciclare che incenerire; da un punto di vista pratico non è facile costruire una rete di inceneritori a livello nazionale. Per ovviare a questa situazione nel 1996 si lavorava a un decreto legge che è stato reiterato 16 volte senza mai essere convertito in legge per problemi legati al rispetto della normativa europea. Una situazione talmente grave cui è seguita la sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito la conversione in legge entro 60 giorni. Una decisione che ha cambiato il modo di decretare del Governo.
Quali sono state le innovazioni del Decreto Ronchi?
Con le procedure semplificate, previste dal DLgs n° 22, per ogni tipologia di scarto sono state individuate le attività e le condizioni ambientali di recupero. L’impatto di questa semplificazione emerge dai numeri: nel 1997 si recuperavano 13 mln di ton di rifiuti speciali e nel 2014 83,4 mln di ton (dati ISPRA).
Lei ha citato l’emergenza Milano, oggi siamo di fronte a quella di Roma. Possiamo dire che l’Italia sembra un cane che si morde la coda?
Abbiamo dei ritardi non di tipo normativo, ma nell’attuazione delle norme. Nei 2/3 dell’Italia la raccolta differenziata è, in media, del 47% e lo smaltimento in discarica è sceso del 26%: al Nord si attesta al 13,8%, al Centro al 28% e al Sud al 43,3%. La normativa, dunque, ha funzionato nella maggior parte del Paese, ma alcune città vivono un ritardo gestionale per quanto riguarda il rifiuto umido e altre, tra cui Roma, presentano un sistema inadeguato di trattamento della frazione secca che porta a ricorrere massicciamente all’esportazione in altre Regioni o all’estero.
E al Sud?
Non dobbiamo più parlare di tutto il Sud: nella raccolta differenziata si sono distinte la Campania, che ha toccato il 49% (se non contiamo il caso di Napoli) e la Sardegna che ha raggiunto il 50% con un -20% nel conferimento in discarica. cinque Regioni restano al di sotto del 30%: Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Molise che risentono della carente capacità amministrativa di gestione, dell’indirizzo politico e della scarsa dotazione impiantistica. Si può parlare di qualche ritardo territoriale localizzato in alcune grandi città del Meridione.
Oggi si parla molto di economia circolare: quali le opportunità per il Sistema Paese in termini di produzione di materie prime seconde?
Voglio precisare che la circular economy è un pilastro della green economy. Il 2 dicembre 2015 c’è stato un rilancio dell’economia circolare con il Pacchetto UE che ha spinto gli stati membri nella direzione già intrapresa dall’Italia e in cui sono protagonisti la prevenzione, il riutilizzo e il riciclo.
Leggendo il nuovo pacchetto europeo non ci sono novità sui sottoprodotti, gli scarti che possono rientrare nel ciclo produttivo, e resta la difficoltà di applicazione della loro definizione (alcuni lo fanno rientrare sotto il cappello della prevenzione).
Per quanto riguarda la gestione rifiuti si dà un nuovo peso, rispetto alla vecchia normativa, al riutilizzo. Qui l’Italia vive un forte ritardo normativo: esiste una rete di mercatini dell’usato che sono iniziative spontanee e poco organizzate a livello istituzionale e legale. Il loro riconoscimento da parte di un operatore abilitato sarebbe un’innovazione.
Infine, per quanto riguarda il riciclo si spinge ad allargare la Responsabilità estesa del produttore (o EPR-Extended Producer Responsibility) a tutte le filiere. Questa sarà una grande riforma. Oggi in Italia l’EPR è applicato agli imballaggi, manca per la carta grafica (giornali, riviste etc), che ammonta a 3 mln di ton, per l’organico e per i RAEE, che pagano un premio di efficienza. Nel caso degli pneumatici fuori uso sono i cittadini a pagare 2 euro per ogni singolo PFU.
Durante la presentazione del rapporto l’Italia del Riciclo 2016, realizzato dalla Fondazione, ha affermato: “Perché non anticipiamo l’obiettivo del 10% dei rifiuti urbani in discarica al 2025?”. Le rigiro la sua domanda.
La direttiva fissa come target il 2030 ma nel Nord Italia tocchiamo punte del 13% e in alcuni paesi europei, tra cui Germania e Olanda, si è scesi sotto il 5%. Dunque si può pensare di raggiungere ancora più velocemente l’obiettivo.
Come si presenterà l’Italia del riciclo tra 20 anni?
L’evoluzione tecnologica è velocissima. La frazione umida urbana, gli effluenti zootecnici, i prodotti residuali agricoli e alimentari e i fanghi di depurazione sono stati finora utilizzati per produrre biogas e compost, cui si aggiunge oggi il biometano. Questo gas può essere immesso in rete o usato per l’autotrazione e rappresenta una prospettiva interessante per l’Italia, dove si stanno costruendo i primi impianti.
Poi c’è la biochimica: i prodotti evolvono verso la chimica verde che consente di avere una percentuale riciclabile. O la possibilità, grazie a tecnologie ormai consolidate, di usare il polverino dei PFU per realizzare asfalti gommati fonoassorbenti.
Nei prossimi 20 anni ogni cosa che si produrrà dovrà obbligatoriamente contenere una percentuale di materiale riciclato, dovrà nascere riciclabile e dovrà essere progettata come riutilizzo di materie prime seconde. Altrimenti l’economia circolare tornerà a essere un modo di dire.
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