- Gli effetti della siccità che ha colpito tutta Europa sono risultati particolarmente drammatici nel nord Italia.
- Nel fiume Po si è assistito a una risalita dell’acqua di mare: la centrale veneta di Ponte Molo ha dovuto adottare misure straordinarie per continuare a garantire l’erogazione di acqua potabile.
- Ora l’impianto è finalmente tornato a funzionare come prima.
La centrale di Ponte Molo, impianto di potabilizzazione dell’acqua situato nel comune veneto di Taglio di Po, in provincia di Rovigo, è tornata in funzione. A renderlo noto è il gestore acquevenete.
La siccità che ha colpito il nord Italia quest’anno è stata infatti definita dall’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po come “la peggior crisi degli ultimi settant’anni”. A giugno, acquevenete ha dovuto attivare un piano di emergenza per via della risalita del cuneo salino, cioè la risalita di acqua di mare nel fiume.
Il piano di emergenza di acquevenete
La prima fase ha visto l’entrata in funzione di un dissalatore che, tuttavia, dal 22 luglio non è più stato impiegato per l’erogazione di acqua potabile in rete. “Si sono verificate condizioni che non potevamo prevedere”, spiega l’ingegnere Giacomo Carletti, responsabile del settore Potabilizzazione di acquevenete. Nell’estate del 2003, anch’essa da record, “si erano raggiunti valori di conducibilità (parametro indicatore del tenore di salinità dell’acqua) pari a circa 8.000 µS/cm e sulla base di tale esperienza è stata selezionata la tipologia di impianto più adatta, ma a partire da fine luglio sono stati raggiunti livelli impensabili di salinità, con picchi di 18.000 µS/cm”. Nella seconda fase del piano di emergenza, invece, si è attinto a un’altra fonte di approvvigionamento: il S.A.Ve.C., il Sistema acquedottistico del Veneto centrale.
Servono politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici
Ora, finalmente, le analisi dimostrano che i valori sono rientrati nella norma. Questo, però, non vuol dire che la crisi possa ritenersi risolta. La disponibilità di acqua in Italia è diminuita del 20 per cento nell’ultimo secolo: se dal 1921 al 1950 era di 166,1 miliardi di metri cubi annui, dal 1991 al 2020 è stata in media di 134,5 miliardi di metri cubi. “È un trend che peggiorerà se non verranno messe in campo azioni incisive di mitigazione dei cambiamenti climatici”, avverte Stefano Mariani, ricercatore dell’Ispra.
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