Con il recepimento della direttiva europea Red II si stanno delineando nel contesto italiano nuovi fattori abilitanti per lo sviluppo delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer), sia per quanto riguarda le condizioni tecnologiche sia per quelle economico-finanziarie. Sono però le dinamiche manageriali delle iniziative a definirne il successo rispetto all’operatività e alla loro concreta efficacia sui territori.
È il quadro che emerge dalla mappatura delle pionieristiche esperienze italiane la cui ricognizione è raccolta nel volume Community Energy Map, realizzato da Luiss Business School e Rse – Ricerca sul sistema energetico e presentato a Roma il 15 dicembre in occasione dell’omonimo convegno.
Comunità energetiche: il contesto italiano
La pubblicazione raccoglie casi studio ed esperienze pilota che si stanno consolidando localmente, apportando benefici economici, ambientali e di contrasto alla povertà energetica. Il merito del volume è quello di presentare diverse chiavi di lettura del fenomeno, a partire dall’analisi del quadro normativo nazionale e regionale italiano. Tramite diversi metodi di ricerca (mappature, desk analysis, clusterizzazioni, focus group e interviste) vengono presentate una serie di riflessioni sugli elementi di innovazione delle varie iniziative, con attenzione ai contesti territoriali e alle caratteristiche organizzative.
Contiene inoltre alcune raccomandazioni indirizzate ai policy maker e ai progettisti, orientate allo sviluppo di comunità dell’energia capaci di innescare processi virtuosi di sviluppo economico, con particolare attenzione all’impatto sociale e ambientale. Il volume Community Energy Map, che racchiude best practice, percorsi e sfide, è disponibile sul sito di Rse.
Contrasto alla povertà energetica
Le comunità rinnovabili rappresentano un elemento di innovazione e di risposta alla sempre più crescente esigenza di partecipazione dei cittadini alla transizione energetica, in un’ottica di autoconsumo e collaborazione. Altrettanto fondamentale, e ricorrente nei casi di studio, è il tema del contrasto alla povertà energetica che viene menzionato sia nei focus group (fondazioni e organizzazioni del terzo settore) sia in casi pratici: “Partendo da questi presupposti, va sottolineato con forza come in Italia non esista al momento un chiaro quadro di riferimento per la misurazione dell’impatto sociale. Non solo nei temi legati alla povertà energetica ma anche nei risvolti in termini di inclusione e coesione sociale delle iniziative”, si legge nel volume.
Come viene sottolineato, le comunità energetiche rinnovabili potrebbero giocare un ruolo fondamentale “per invertire una rotta che sino ad oggi privilegia i sostegni al consumo attraverso sussidi e bonus per l’energia elettrica ed il gas, ridimensionando la complessità delle concause che determinano una situazione di povertà energetica”. Sarebbero dunque auspicabili interventi che lavorino sulla riduzione del fabbisogno delle famiglie in condizioni di povertà energetica, migliorando la qualità delle abitazioni ed incrementando le capability delle fasce più deboli.
In particolare, si delineano due possibili soluzioni:
- una prima proposta che evoca strumenti simili al reddito energetico e che fa leva su percorsi di incentivazione e facilitazione nell’installazione di impianti rinnovabili nelle abitazioni degli utenti più vulnerabili, permettendo così una partecipazione attiva al progetto di Cer o di autoconsumo collettivo.
- una seconda linea di sviluppo, oltre che alla generazione di energia rinnovabile, può concentrarsi sull’inclusione nell’ottica operativa di una Cer con interventi di efficientamento energetico su un target specifico individuato negli utenti più vulnerabili, attraverso un sistema di incentivi che non comportino notevoli esborsi, come le attuali detrazioni, e che non prevedano numerosi passaggi burocratici come nel caso del recente Superbonus 110%.
Leggi anche Il Superbonus 110% serve davvero alla transizione energetica?
Pnrr, criticità e raccomandazioni ai policy maker
Con riferimento al Pnrr, nell’investimento M2C2.1-1.2 dedicato alle comunità energetiche si fa chiaro riferimento al sostegno di progetti focalizzati “sulle aree in cui si prevede il maggior impatto socio- territoriale”, inquadrando le Pubbliche Amministrazioni, le famiglie e le microimprese come target principali nelle municipalità con meno di 5.000 abitanti al fine di sostenere “l’economia dei piccoli Comuni, spesso a rischio di spopolamento, e rafforzando la coesione sociale”.
Come affermato nel volume, questi aspetti generano però una serie criticità in termini di policy. Ecco perché si delineano alcune raccomandazioni di massima così sintetizzate:
- Rafforzamento delle competenze interne alle PA a latere delle misure di sostegno finanziario alle iniziative. Molti dei Comuni target dei finanziamenti previsti dal Pnrr difficilmente potranno far fronte alle necessità richieste in termini di competenze progettuali. Il rischio è che organizzazioni esterne alle dinamiche locali promuovano modelli standard per tutte le realtà (isomorfismo organizzativo) senza un reale coinvolgimento delle comunità locali, reali ricadute in termini di esternalità positive e con soluzioni tecnologiche incapaci di produrre valore aggiunto nelle economie territoriali.
- Accurata allocazione delle risorse addizionali nelle politiche a livello regionale. Questo accorgimento implica la capacità di individuare criteri premianti delle iniziative al fine di valorizzare il territorio, il sistema produttivo e sociale locale: “Su questo aspetto permane la criticità della misura del Pnrr nell’individuare come target i comuni esclusivamente sotto i 5.000 abitanti, quantitativamente molto diffusi in alcune regioni e molto meno presenti in altre. Una criticità che le Regioni dovranno colmare e gestire con particolare attenzione alla distribuzione delle risorse”, si commenta. La stessa attenzione su tali criteri dovranno prestarla le fondazioni filantropiche e altre istituzioni finanziarie (come banche e casse di risparmio locali) che intendono sostenere più ampi processi di sviluppo e innovazione su base locale.
- Lavoro sull’accettabilità sociale delle iniziative. Ciò significa limitare l’isomorfismo organizzativo, promuovendo invece formule collettive di proprietà degli impianti. Ma anche adattando le Cer ai fabbisogni del territorio e assicurando modelli generativi in termini di sviluppo locale ed empowerment nel mercato energetico. Su questo ultimo aspetto la sfida è quella di promuovere la realizzazione di impianti che si distanzino da quelli prodotti nelle stagioni precedenti delle politiche Fer: “Queste, pur ammantandosi di una veste green, hanno spesso seguito logiche di estrazione del valore economico disinteressandosi delle peculiarità territoriali, accentuando il divario fra i vincitori e perdenti, fra chi gode dei benefici economici e chi subisce i costi ambientali di iniziative che, pur dando un contributo complessivamente positivo alla riduzione delle emissioni, genera ulteriori criticità in termini di credibilità e accettabilità”, si legge nel volume.
In conclusione, per scoraggiare dinamiche oppositive ai modelli di produzione energetica de-territorializzati, l’aspettativa è che i modelli di sviluppo promossi dalle Cer possano differenziarsi dai modelli di produzione energetica “caratterizzati da grandi impianti favoriti da politiche di sostegno e incentivi di cui gli operatori del settore si sono serviti per minimizzare i costi e massimizzare l’efficienza finanziaria della singola fonte”, si afferma.
Per ricevere quotidianamente i nostri aggiornamenti su energia e transizione ecologica, basta iscriversi alla nostra newsletter gratuita
e riproduzione totale o parziale in qualunque formato degli articoli presenti sul sito.