Irappresentanti di oltre cento nazioni, riuniti in videoconferenza, hanno approvato il 13 ottobre la Dichiarazione di Kunming che stabilisce gli impegni per la tutela di fauna e flora a livello mondiale. I negoziati si sono svolti nell’ambito della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla biodiversità – Cop15 ma il nuovo quadro globale sarà adottato alla seconda e ultima sessione prevista nella primavera del 2022.
Quanto stiamo realmente difendendo, a livello internazionale e nazionale, gli ecosistemi naturali? Canale Energia lo ha chiesto a Danilo Selvaggi, direttore generale della Lipu.
La Dichiarazione di Kunming getta le basi per raggiungere obiettivi ambiziosi al 2030 allo scopo di invertire la perdita di biodiversità, nonché la realizzazione di Vision 2050 “Vivere in armonia con la natura”. Tra le proposte, c’è la richiesta di proteggere e conservare il 30% delle aree terrestri e marittime attraverso sistemi collegati di aree protette. Oltre alle volontà politiche, l’efficacia della Dichiarazione da cosa dipenderà?
Le chiavi affinché le strategie per la biodiversità, mondiale, europea e italiana, stavolta funzionino davvero sono almeno tre. Anzitutto, occorre capire bene, in senso scientifico e tecnico, come i vari obiettivi possono essere raggiunti. Ad esempio, cosa significa proteggere almeno il 30% del territorio, cosa significa dedicare il 10% alla protezione integrale, quali saranno i parametri per la conservazione di specie e habitat. La seconda chiave è di tipo sociale e culturale: far sì che i programmi di conservazione della natura non comportino un danno all’economia ma una revisione dei paradigmi, in modo che natura ed economia siano finalmente alleate. Infine, la politica. Il buon funzionamento dei primi due fattori favorirà certamente l’azione politica, ma è anche vero che alla politica è chiesto un passo in più, del coraggio in più e direi più intelligenza generale. La politica non deve essere solo il terminale dei desiderata generici. Deve sapere cogliere i fermenti, le visioni del futuro e anche su questa base guidare il cambiamento. Questo vale per ogni cosa e oggi vale particolarmente per la sfida della biodiversità.
Il documento propone anche strumenti di responsabilità, in particolare per quanto riguarda le strategie e i piani d’azione nazionali, a garanzia dell’effettiva attuazione del quadro globale. Quali sono le vostre proposte per intraprendere la conservazione e il ripristino degli ecosistemi in Italia e cosa si dovrebbe fare per tramutarle in azioni concrete?
Già dal lavoro sul Recovery plan italiano la Lipu ha prodotto richieste precise. In generale, la cosa da fare è recepire pienamente nella strategia italiana i contenuti della strategia europea per la biodiversità, che sono importanti e ineludibili. Più nello specifico, chiediamo in primo luogo un grande programma di ripristino degli habitat naturali, a cominciare dalle aree umide, e una forte azione di incremento della connettività ecologica. In secondo luogo ci sono, appunto, le aree protette, inclusa la rete Natura 2000 soprattutto per quanto riguarda i siti in mare. Bisogna aumentarne l’estensione e migliorarne la qualità gestionale, più finalizzata alla conservazione della biodiversità. Il terzo tema sono gli uccelli, che in percentuali importanti versano oggi in stato di conservazione preoccupante. Bisogna monitorarli e proteggerli con maggiore efficacia, tanto con piani di azione quanto con attività di scala vasta.
Il già citato mare è un altro argomento cruciale, specialmente riguardo alle politiche della pesca e al tema, specifico ma importante, del cosiddetto bycatch, le catture accidentali di specie protette. Le politiche agricole saranno l’altra grande partita dei prossimi anni. Anche qui, servono azioni considerevoli in tema di riduzione dei pesticidi e promozione di pratiche che ci portino verso un modello agroecologico. Infine, ci sono da affrontare problemi come la caccia insostenibile, il persistente bracconaggio e in generale le illegalità ambientali, i cui danni non sono da poco. Il tutto, ovviamente, in stretta relazione con le grandi azioni contro la crisi climatica.
La Dichiarazione riconosce inoltre la necessità di adottare un approccio trasversale per la biodiversità. Si propone di affrontare il tema dello sfruttamento del suolo e del mare, dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento nonché le azioni per trasformare in senso sostenibile economia e finanza, l’uso efficiente delle risorse e la riduzione gli sprechi. Sono tutte sfide ambiziose ma come sarà possibile prendere decisioni sistemiche e utili a creare una nuova forma di prosperità della natura, anche in vista della Cop26 sul clima?
Il mondo opera come se la natura non fosse importante, ovvero come se fosse qualcosa a nostra disposizione, senza limiti. C’è da intervenire su un’enorme serie di pratiche, politiche e abitudini mentali, in una sfida oggettivamente difficile anche sotto il profilo metodologico. Tuttavia, già oggi abbiamo sufficienti informazioni, tecniche e direi morali, per capire che il cambiamento non può più tardare e anzi può regalarci nuovi orizzonti di prosperità. Una questione importante riguarda la capacità delle istituzioni internazionali di darsi maggiori poteri decisionali e in particolare di finalizzare le grandi Conferenze delle parti, come quella sul clima che ci aspetta fra qualche giorno, a Glasgow, e quella del prossimo maggio a Kunming, in Cina, sulla biodiversità. Per inciso, due sfide cruciali che vanno affrontate assieme. Ebbene, la comunità internazionale deve fare un salto di qualità decisionale, in quella che chiamerei la macrofisica della natura, la capacità di prendere le giuste decisioni ambientali a livello planetario. Ma c’è anche una microfisica della natura: l’impegno di ciascuna singola persona, ciascuno di noi, a chiedere, promuovere ed essere il cambiamento, nelle piccole e nelle grandi cose. Serve davvero un umanesimo ecologico che riscriva, in meglio, la nostra storia comune.
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