A Singapore arriva la prima casa passiva in grado, cioè, di produrre più energia di quanta ne consumi. Collocata sulla collina di Bukit Timah, il punto più alto della città-stato, è stata progettata dal Pomeroy Studio, fondato da Jason Pomeroy, e rinominata B House.
Disegnata ispirandosi ai tipici bungalow coloniali bianchi e neri, B House li reinterpreta offrendo una versione del 21° secolo di questi edifici caratteristici. “La sfida era quella di creare una zero carbon house allo stesso costo di un bungalow e con le stesse caratteristiche e dimensioni”, ha commentato Jason Pomeroy.
Il cortile di B House, foto di Robert Such/Pomeroy Studio |
Il tetto monta 100 m2 di pannelli solari policristallini in grado di generare 16,720 kWh l’anno: in questo modo i consumi di un nucleo familiare tipico composto da cinque persone si ridurrebbe dagli attuali 12,500 kWh a 8,000 kWh. La superficie incorpora delle sporgenze che si affacciano su verande e cortili, presenti sia per motivi ricreativi che per raffreddare la casa: B House è infatti modellata per minimizzare il riscaldamento sulle facciate Est ed Ovest ed è strutturata per far circolare l’aria attraverso soffitti molto alti e finestre collocate strategicamente. Le facciate esposte a Nord e Sud comprendono basse, medie e alte finestre e persiane che agiscono come delle valvole: possono essere aperte e chiuse in molteplici configurazioni per regolare il flusso delll’aria o riparare dalla pioggia e dal sole mentre si è stesi al sole.
Il design della casa è modulare, prevede anche moduli prefabbricati prodotti fuori sito, ed è realizzata per minimizzare il consumo d’acqua – atteso di 465 mc l’anno – e per generare un recupero virtuoso dei rifiuti. Molte parti sono prodotte con materiali riciclati o a ridotto impatto ambientale e gli impianti di raccolta d’acqua sono progettati per minimizzarne il consumo.
La B house ha ricevuto il BCA Green Mark Platinum Award nel 2014, il più alto conferimento del Paese per le costruzioni attente all’ambiente. Pomeroy si è detto orgoglioso “di essere stato in grado di spingere i limiti del design sostenibile allo stesso prezzo del ‘business as usual’, pur mantenendo un impegno per la cultura del luogo”.
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