Un milione di tonnellate di acqua contaminata, impiegata per raffreddare i reattori danneggiati nell’incidente nucleare di Fukushima, sarà riversata nell’Oceano Pacifico. A dieci anni esatti dal disastro, quando i reattori dell’impianto furono colpiti da un terremoto di magnitudo 9 e da uno tsunami, il primo ministro giapponese Yoshihide Suga conferma una decisione in realtà già anticipata.
L’annuncio ha sollevato polemiche tra i paesi vicini, il settore della pesca e i rappresentanti dell’agricoltura locale. La paura è tanta, gli ultimi dieci anni non sono bastati a lavarsi via il terrore lasciato dal disastro di Fukushima. Le critiche sono arrivate dagli ambientalisti e dalla Cina, ma non da Washington. Al rappresentante dell’Associazione italiana nucleare, il dottore di ricerca Enrico Brandmayr, chiediamo qual è il parere dell’Associazione sul tema e quali sono i rischi di tale decisione, per la salute dell’uomo e del pianeta?
La decisione era da lungo tempo attesa ed era una delle opzioni consigliate dall’autorità nucleare giapponese e anche dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Le altre erano sequestro geologico, evaporazione e solidificazione e rilascio sotto forma di idrogeno. A conti fatti l’opzione di rilascio in mare, controllato e diluito nel tempo, è la più sicura ed economicamente efficace.
Bisogna specificare che l’acqua in questione, usata per raffreddare i reattori danneggiati nell’incidente di Fukushima, è stata già decontaminata degli elementi più pericolosi e la concentrazione di trizio in essa è talmente bassa che, data anche la specifica pericolosità del trizio, che è un debole emettitore beta, sarebbe classificata potabile secondo molte legislazioni nazionali. Dunque il solo danno atteso è quello di immagine, giustamente temuto dai pescatori locali, ma solo per via della mistificazione dei fatti da parte di molta stampa.
Qual è la posizione della ricerca europea ed italiana? Alla luce anche della recente affermazione del Joint research council secondo cui il nucleare non è pericoloso per altre fonti sostenibili?
La ricerca italiana ed europea è da sempre molto vivace nell’ambito delle tecnologie nucleari, anche se più incentrata sull’obiettivo fusione nucleare che sullo sviluppo di reattori a fissione avanzati, in cui primeggiano Stati Uniti, Russia e Cina.
Dal canto suo, la comunità scientifica internazionale è da molto tempo concorde sulla sostenibilità del nucleare, e le affermazioni del Jrc non suonano affatto nuove per gli addetti ai lavori. Ora si tratta piuttosto di tradurle in politiche attive ed inclusive per il settore nucleare.
A poche settimane dalla pubblicazione della Cnapi, ad inizio 2021 ha preso il via il Sistema tracciabilità rifiuti materiali e sorgenti. La neutralità tecnologica sembra centrale nella transizione energetica – o ecologica – italiana. Vi aspettate che il tracciamento e la comunicazione trasparente al cittadino contribuiscano a far decollare questa fonte di energia in Italia?
Gli sviluppi futuri del nucleare in Italia dipenderanno sicuramente da molti fattori, politici, tecnologici ed industriali, ma è indubbio, come dimostra l’esperienza di altri Paesi, che trasparenza e corretta comunicazione sono imprescindibili se si vuole avere un programma nucleare. In questo senso la vicenda del Deposito Nazionale e, più in generale, la gestione dei rifiuti radioattivi, rappresentano un test importante per l’Italia.
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