Secondo il World foot yearbook, è sempre più “sneakersmania”, con limited edition costosissime e un quantitativo prodotto annualmente, a livello globale, che ammonta a 24 miliardi di paia. Le stime, secondo un’analisi di Global info research, indicano un mercato delle sneakers in costante crescita che passerà dai circa 70 miliardi di dollari del 2019 a più di 95 miliardi di dollari tra 2024 e 2025.
Gli ampi margini di profitto sono giustificati più dal marketing che dal reale costo di produzione. Un fatto risibile, considerando il bassissimo costo del lavoro nei Paesi di maggior produzione, come Cina e Bangladesh, dove viene meno la sostenibilità sociale che riguarda la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Sneakers tra scarsa sostenibilità e impatto ambientale negativo
In generale, quando si parla di sostenibilità nella moda, il problema principale sta nella difficoltà di tracciare ogni singolo pezzo della filiera, sia dal punto di vista del materiale che della azienda che lo produce, perché solitamente sono diverse e quindi è nebuloso verificare il rispetto degli standard.
Le sneakers prodotte, oltre che dell’emissione di CO2, sono responsabili di un enorme inquinamento dovuto alle diverse componenti sintetiche che le costituiscono, soprattutto plastiche, che ne rendono praticamente impossibile il riciclo. La suola come supporto esterno è di plastica, così come il tallone.
E’ stato nel 1970 che le aziende introducono il poliuretano espanso nella soletta, e per renderle ancora più leggere, hanno introdotto poi il vinilacetato e la pelle sintetica. Attualmente, i materiali più utilizzati per produrre una sneaker sono i seguenti:
eTPU, poliuretano termoplastico espanso,
TPU, poliuretano termoplastico
PET, polietilene tereftalato
PU poliuretano
PBT polibutilenentereftalato
PA poliammide.
Le sneakers possono diventare sostenibili. L’innovazione è la soluzione
Dai volumi di produzione e vendita, è palese che, allo stato attuale è impossibile liberare completamente le discariche dalle amate sneakers, che qui rimarranno per ben 1000 anni prima di poter essere completamente smaltite. Pertanto, è necessario che alcune iniziative prendano come dire.. ”piede”. Ad esempio quella di alcuni punti vendita Decathlon, che ritirano le vecchie scarpe sportive, grazie ad un accordo con Esosport. Quest’ultima, nasce nel 2009, quando un runner appassionato, Nicolas Meletiou, si è posto il problema di come smaltire le innumerevoli sneakers a fine vita. Esosport riutilizza la materia generata dal riciclo delle suole per pavimentare i parchi gioco e le piste di atletica.
Anche i Big delle sneakers come Adidas e Nike stanno tentando la nuova via della sostenibilità, che è divenuta anche un profittevole business, producendo dei modelli ricavati dalla plastica riciclata degli oceani.
Sicuramente è un buon inizio, ma siamo ancora lontani dal concetto di circolarità. Infatti, affinché questo sia implementato, bisogna che si utilizzi un unico materiale e non più la plastica o suoi derivati. In caso contrario, è praticamente impossibile disassemblare e riciclare delle sneakers a fine vita.
In Italia, in seguito ad anni di ricerca e sperimentazione, alcuni brand innovativi si stanno dedicando con successo alla produzione di sneakers sostenibili, eccone alcuni:
ID.eight che utilizza materiali bio-based e rigenerati, realizzati con materie prime naturali, derivanti dagli scarti di frutta e vegetali post produzione. Alcuni prodotti sono la similpelle di vino, di ananas e di mela.
Womsh linea di scarpe vegan ed eco-sostenibile realizzate in apple skin.
Privato che produce scarpe vegane ecologiche in mais e ananas.
Yatay che utilizza i bio-polioli, polimeri estratti da cereali e mais.
Per il prossimo futuro, non ci sono alternative se non quella di produrre meno e meglio. Oramai il processo di innovazione e ricerca costante di materiali che possano chiudere il cerchio della produzione, dell’uso e consumo e del riciclo è stato avviato ed è irreversibile.
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