Il processo di primo grado per reati ambientali nella Valle del Sacco ha portato a una condanna e tre assoluzioni. Il giudice Luigi Tirone ha dato lettura della sentenza nel tribunale di Velletri ieri mattina.
Il processo Valle del Sacco, la vicenda
Il processo Valle del Sacco è relativo allo sversamento del betaesaclorocicloesano (beta-HCH, sottoprodotto del pesticida lindano) nelle acque del fiume Sacco. Ciò avrebbe poi causato la contaminazione dei terreni e, attraverso la catena alimentare, delle persone. La contaminazione ha coinvolto una vasta area compresa tra le province di Roma e Frosinone.
Processo Valle Sacco, le condanne
Carlo Gentile, ex direttore dello stabilimento industriale della Caffaro a Colleferro, ha avuto una condanna a due anni di reclusione. Il reato è quello di disastro innominato, al pagamento delle spese processuali. E’ stato inoltre condannato al risarcimento dei danni alle parti civili da liquidare in un separato giudizio civile. E al pagamento di una provvisionale esecutiva a favore di Italcementi, costituita parte civile nel processo, pari a 200mila euro.
Refusione delle spese di costituzione e assistenza sostenute dalle parti civili
Per Gentile anche la condanna alla refusione delle spese di costituzione e assistenza sostenute dalle parti civili. Nello specifico: 25mila euro dovranno essere versate in favore rispettivamente del ministero dell’Ambiente e di Italcementi; 5mila euro andranno invece in favore dei comuni di Colleferro, Anagni, Gavignano, Segni e Ceccano e 4mila euro per ciascuna delle restanti parti civili. È stata concessa a Gentile la pena sospesa e la non menzione nel casellario giudiziale.
Processo Valle del Sacco, gli assolti
Il tribunale ha assolto invece per non aver commesso il fatto Giovanni Paravani e Renzo Crosariol, legale rappresentante e direttore tecnico del consorzio Csc (Consorzio servizi Colleferro). L’azienda gestiva lo scarico delle acque della zona industriale di Colleferro, all’origine della contaminazione della Valle del Sacco secondo l’accusa. Assoluzione anche per Giuseppe Zulli, ex direttore della Centrale del latte di Roma, perché il fatto non sussiste. “Secondo la procura – si legge in una nota – era a conoscenza, prima dello stato di emergenza dichiarato nel 2005, che nelle mucche degli allevamenti che rifornivano l’azienda c’era del lindano”.
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